«Adesso i ristori non bastano più, paghino i danni»
Il parere del Cts: «Serve un approccio generale di estrema cautela» Anche il dem Bonaccini critico nei confronti della mossa del ministro
Non bastano più i ristori «servono gli indennizzi per i danni subiti». Luca Zaia, governatore del Veneto, parla di «danno colossale». E si riferisce a tutto ciò che ruota attorno alle piste da sci. «Gli impianti di risalita, le scorte di cibo nei ristoranti, gli stagionali già in quota». E poi il metodo: «Non si può dire no quattro ore prima».
«Ora non si può più parlare soltanto di ristori. In questo caso ci vorranno degli indennizzi. Dei riconoscimenti per il danno subito». Luca Zaia, sabato pomeriggio, aveva già firmato un’ordinanza per riaprire gli impianti sciistici mercoledì 17 febbraio, due giorni più tardi la data del Dpcm che la fissava al 15. Ma il governatore veneto ora è davvero perplesso.
Perché gli indennizzi?
«Ma lei lo sa che le Regioni che avrebbero riaperto oggi, Lombardia e Piemonte, hanno saputo del nuovo stop quattro ore, dico quattro ore, prima della riapertura possibile degli impianti?».
Beh, insomma, quattro ore proprio no. Il giorno prima, diciamo...
«Quattro ore. Le località attrezzate per lo sci in notturna avrebbero potuto aprire gli impianti a mezzanotte e un minuto. Se poco prima non fosse arrivata l’ordinanza del ministro».
Va bene. Ma forse le discese notturne a mezzanotte e un minuto dopo settimane di chiusura non sono un fenomeno macroeconomico...
«Il punto invece è proprio quello. Dietro alla montagna invernale ci sono sì gli impianti di risalita, i grossi operatori. Ma c’è anche una nuvola densa di piccole attività, dalla ristorazione ai maestri di sci, che non è codificata ma è imponente. Ci sono gli stagionali... Il danno è colossale».
Perché un risarcimento al di là dei ristori?
«Perché in questo caso, nella prospettiva di riaprire a breve, gli operatori avevano già battuto le piste e messo le indicazioni, bar, ristoranti e rifugi avevano fatto magazzino, gli stagionali si erano diretti in montagna... A tutte queste persone dici di no il giorno prima? Dopo investimenti particolarmente gravosi, dopo una stagione come quella che è stata? Non ci sono parole per descrivere la rabbia, motivata, dei nostri operatori».
Immagino che dipenda dall’andamento del virus. Dalle varianti aggressive.
«Guardi, è una decina di giorni che assistiamo a un crescendo di dichiarazioni da parte di tecnici e scienziati sull’apertura o meno degli impianti. Un maggior anticipo ci poteva stare... Io avevo fatto l’ordinanza proprio per tener fuori il Carnevale, ma il punto è un altro: mi rifiuto di pensare che occorrano i dati del venerdì per decidere che bisogna tenere chiuso il lunedì. Lo dico proprio per il rispetto che porto agli scienziati. Ma qui, vorrei che fosse chiaro quello di cui parliamo».
A che cosa si riferisce?
«In Veneto la montagna invernale non è una cosa su cui scherzare. Lo testimoniano i Mondiali di sci in corso e i giochi olimpici invernali per i quali siamo stati scelti. Le Dolomiti stanno al Veneto come Venezia. Posso snocciolarle qualche dato?».
Certo...
«Il turismo è la prima industria del Veneto. Rappresenta 18 miliardi su 160 miliardi di Pil. Sono 70 milioni di turisti
La rabbia
Gli operatori avevano già battuto le piste, bar e ristoranti avevano fatto magazzino, non ci sono parole per descrivere la loro rabbia, motivata
all’anno, di cui quelli che vanno a Venezia sono 14 milioni».
Perché poi avete le spiagge, il Garda, il delta del Po, le città d’arte e otto siti patrimonio dell’umanità...
«Bravo, vedo che ha studiato. Manca soltanto il dire che il 66% dei nostri turisti, due su tre, viene dall’estero. Significa che il Veneto oggi è in ginocchio. Nonostante il blocco dei licenziamenti, ha già perso 65 mila posti di lavoro, di cui 35 mila nel turismo».
Però, se gli scienziati nutrono delle preoccupazioni che cosa si sarebbe dovuto fare? Riaprire lo stesso?
«La salute viene prima di qualunque altra cosa, dubbi non ce ne sono. E mi rendo conto che per la politica le ultime settimane sono state difficili. Ma è pur vero che gli operatori avevano letto un Dpcm che consentiva di riaprire il 15 febbraio. E dunque, il provvedimento in “zona Cesarini” qualche dubbio lo lascia: ci sono dei tempi che se non sono rispettati, mandano tutto in deflagrazione. Lei parlava di varianti, ma non è che siano una sorpresa della domenica. Quando a dicembre avevamo trovato qui la variante inglese, c’era chi l’aveva liquidata come irrilevante, come se fosse Zaia alla ricerca di alibi».
Ora dello sci si riparlerà il 6 marzo.
«Ma sì... Quando saremo ormai entrati nella bassa di una stagione ormai devastata. Un operatore me lo ha detto: dove ci sono i Mondiali, ci sono le Frecce Tricolori e uno spettacolo globale. Intorno, solo desolazione e silenzio. Spero soltanto che quello che si potrà fare il 6 marzo lo si possa sapere un po’ prima del 5...».
La tempistica
La salute viene prima di tutto, ma l’intervento in «zona Cesarini» qualche dubbio lo lascia Le varianti non sono una sorpresa della domenica