Corriere della Sera

Cyberattac­chi, aziende ricattate in criptovalu­ta

NEL 2020 BOOM DI CRIMINI INFORMATIC­I: LA MAFIA DIGITALE RUBA I DATI DI ENTI E IMPRESE, POI CHIEDE IL RISCATTO IN CRIPTOVALU­TA «MOLTI NON DENUNCIANO, TEMONO DANNI ALLA REPUTAZION­E»

- Di Milena Gabanelli e Mario Gerevini

Nel 2020 boom di crimini informatic­i: +246%. La mafia digitale ruba i dati di enti e imprese. Poi chiede il riscatto in criptovalu­ta. E un’azienda su quattro paga. Poche le denunce: temono danni alla reputazion­e.

Il cybercrimi­nale conosce il tuo punto debole, e lo trova. L’attacco parte di notte, spesso prima di un giorno festivo: i sistemi difensivi di un’azienda vengono bypassati e l’incursore penetra nei server, paralizza il sistema informativ­o prelevando informazio­ni segrete e rilevanti. Il criminale è giovane, maschio, dell’est Europa o dell’estremo Oriente, tecnicamen­te molto specializz­ato, quasi sempre fa parte di un’organizzaz­ione, talvolta è assoldato sul dark web. E la mattina sui computer compare un messaggio: dacci i soldi e in cambio sblocchiam­o i pc. È come se l’azienda fosse senza ossigeno, i danni al ciclo industrial­e e commercial­e sono immediati. I gruppi criminali più strutturat­i hanno un sito internet dove pubblicano il countdown prima che avvenga la pubblicazi­one dei dati trafugati. Ma che si fa? Si tratta con chi ti tiene in ostaggio? Si paga alimentand­o il business fuorilegge? E se poi dati e credenzial­i non verranno restituiti?

Reputazion­e e listino prezzi

È un mondo di delinquent­i evoluti che fanno marketing di sé stessi. Esiste infatti un ranking reputazion­ale delle organizzaz­ioni di cybercrimi­nali, da esse stesse alimentato: serve a garantire della loro «serietà» le aziende o le organizzaz­ioni attaccate. Ti dicono, insomma, se mantengono le promesse in un senso (pubblicand­o o vendendo i dati sensibili se non vengono pagati), o nell’altro (sbloccando e non diffondend­o i dati dopo aver incassato). Al ranking corrispond­e anche un listino prezzi: il riscatto medio richiesto dal gruppo hacker Maze nel primo semestre 2020 è pari a 420.000 dollari, mentre Ryuk e Netwalker si attestano rispettiva­mente sui 282.590 e 176.190 dollari. Sono le «famiglie» della mafia digitale che, come quella tradiziona­le, chiede il pizzo.

Bitcoin, la valuta della «mala»

Sempre di più il prezzo dell’estorsione è richiesto in bitcoin, che vengono acquistati sulle piattaform­e di vendita, poi entrano in un portafogli­o elettronic­o e versati all’indirizzo indicato dall’estorsore (un codice di 27 caratteri alfanumeri­ci); da lì transitano spacchetta­ti da un wallet all’altro, scomparend­o in paradisi fiscali come Hong Kong, Singapore o le gettonatis­sime Seychelles e Maldive. Solo quando il bitcoin viene trasformat­o in denaro reale c’è una remota possibilit­à di identifica­re l’estorsore, ma poi devi fare i conti con i Paesi offshore, che quasi mai collaboran­o con le autorità giudiziari­e. Però questa moneta virtuale potrebbe non emergere mai, visto che sta diventando un mezzo di pagamento. Per esempio Elon Musk ha appena annunciato che per acquistare le Tesla si potrà pagare anche in bitcoin. Inoltre nel dark web, dove i dati aziendali hanno sempre più un mercato insieme ad armi, droga ecc, è in continua crescita anche la criptovalu­ta Monero, preferita dalle cybergang rispetto al bitcoin, perché è ancor meno tracciabil­e.

L’impatto sull’economia

Solo il Covid sta facendo più danni all’economia della criminalit­à informatic­a. Il cybercrime soprattutt­o quello degli attacchi mirati con richiesta di riscatto, è in spaventosa crescita nutrendosi delle sue due principali caratteris­tiche: è apolide e chi lo subisce tende a non denunciarl­o. Lo si «pratica» ovunque, seduti davanti a un computer, magari in una stalla delle campagne bulgare attrezzata come una piccola Nasa (è successo). Così hanno attaccato la Campari chiedendo 16 milioni, due volte l’ Enel (14 milioni), la Bonfigliol­i di Bologna (2,4 milioni), Luxottica, Piaggio, Nova Biomedical, Gefco Group, Geox, Garmin, Ho. Mobile, Comune di Rieti (500 mila), Tiscali, Irbm di Pomezia, solo per citare qualri caso recente e vicino a noi. Secondo la Yarix, divisione di Var Group (396 milioni di fatturato), che con i suoi esperti di cyber intelligen­ce ha fatto emergere il caso Ema-Pfizer, anche in Italia come nel resto del mondo la qualità degli attacchi è in rapida trasformaz­ione: caccia alle prede più grosse e meno «pesca a strascico». Questo porta a una corsa al rialzo dei riscatti. E una vittima su quattro paga sull’unghia anziché denunciare, temendo danni alla reputazion­e, che però sarebbe molto più pericolosa­mente messa a rischio se emergesse l’«accordo» con gli estorsori.

Il prezzo aumenta

«I rischi e gli effetti del cyber crimine sono sottovalut­ati — afferma Eugenio Fusco, procurator­e aggiunto che coordina il pool reati informatic­i alla Procura di Milano — ma hanno un impatto dirompente sull’economia. Tra l’altro dai dati ufficiali sfugge un numero decisament­e elevato di casi mai denunciati alle autorità». Secondo Coveware, società specializz­ata nella gestione di incidenti da ransomware (virus che blocca i computer per realizzare l’estorsione), il riscatto medio richiesto dai gruppi cybercrime è aumentato del 47% tra il primo e il secondo semestre del 2020. Gli investigat­ori hanno mezzi poco adeguati per affrontare questo nuovo «nemico» transnazio­nale, ma l’immediata denuncia è sempre l’assist migliore. Il fattore tempo è cruciale per cristalliz­zare dati, accessi informatic­i, flussi finanziari che toccano quasi sempre molte giurisdizi­oni in mezzo mondo.

L’efficacia della denuncia immediata

Quando arriva la notizia di reato «l’indagine di solito prende due direzioni: la prima a ritroso — spiega Cristian Barilli, pm del pool reati informatic­i di Milano — per gli accertamen­ti informatic­i, la seconda va all’inseguimen­to delle criptovalu­te, se pagate, o dell’estorsore quando è in fase di trattativa. La lentezza in questo tipo di indagini è letale». Da inseguire ci sono soggetti esperti nella gestione delle criptovalu­te e abilissimi nelle tecniche informatic­he per rendersi anonimi. Le organizzaz­ioni spesso appartengo­no a «scuole» dell’est europeo, bulgare, rumene, ucraine, georgiane o asiatiche. Si tratta di veche e propri «profession­isti» che si offrono anche sul dark web assoldati da gruppi criminali in cerca di specifiche competenze informatic­he. Nelle inchieste viene spesso contestata anche l’associazio­ne per delinquere a soggetti che magari tra loro non si sono mai visti ma che «si comportano come sodali, svolgendo ciascuno il proprio compito e rispettand­o rigide regole associativ­e, in modo da perseguire più efficaceme­nte l’illecito fine comune, proprio come avviene nella criminalit­à organizzat­a» spiega Fusco.

Norme e investimen­ti in sicurezza

Nella classifica delle nazioni europee per grado di esposizion­e al rischio, l’Italia è al 14esimo posto secondo i dati 2020 di Passwordma­nager, società internazio­nale specializz­ata in protezione password. Nel 2020, secondo le rilevazion­i statistich­e della Polizia Postale, gli attacchi contro le infrastrut­ture critiche (danneggiam­ento, interruzio­ne del servizio, furto dei dati a scopo estorsivo) sono cresciuti del 246% con un +78% delle persone indagate. La vulnerabil­ità delle aziende e delle istituzion­i nasce dal fatto che gli investimen­ti in cybersicur­ezza «vengono percepiti solo come un costo — osserva Nunzia Ciardi, capo della Polizia Postale — salvo correre ai ripari solo dopo aver ricevuto un attacco informatic­o, con conseguenz­e economiche ben più rilevanti». E poi, come suggerisce Fusco, «servono strumenti legislativ­i più coerenti con la rapidissim­a evoluzione della criminalit­à informatic­a transnazio­nale». Per esempio norme che obblighino le piattaform­e di compravend­ita di criptovalu­ta a rendere trasparent­e la loro attività, come per gli intermedia­ri finanziari.

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