Corriere della Sera

«Più fiducia alle donne: anche in politica»

Il primo cittadino: così servirebbe­ro vent’anni per equilibrar­e la rappresent­anza politica e 70 per la parità retributiv­a Il sindaco di Milano: lasciamo lavorare il governo prima di sparare giudizi

- di Aldo Cazzullo

«Le donne del Pd fanno bene a essere arrabbiate. Mandare solo uomini al governo è deludente. Milano sarà il laboratori­o della parità». Beppe Sala parla dell’esecutivo Draghi — «bene i tecnici, sui politici era indispensa­bile trovare un equilibrio» — e critica la sinistra: «Mai più errori così». E sulle elezioni comunali: «Si voti a maggio, non possiamo aspettare l’estate. Abbiamo davanti due anni difficili, ma la nostra metropoli si riprenderà».

Sindaco Sala, lei un anno fa chiese un «governo dei migliori». Questo è il governo dei migliori? «È un governo che va supportato a ogni costo. Meglio lasciarlo lavorare, prima di sparare giudizi».

Un giudizio sui nomi si può già dare.

«Vedo alcune cose positive. Ci sono competenze-chiave tra i tecnici portati a bordo. In alcuni ruoli decisivi ci sono persone molto capaci».

Chi?

«Cartabia, Giovannini, Franco, Colao. E sono contento per Maria Cristina Messa, ex rettrice di un’università milanese».

Poi ci sono i politici.

«Il governo è il risultato della necessaria ricerca di equilibrio tra i vari partiti. Mi permetto di fare un’unica critica: troppa differenza tra uomini e donne. E ritengo che sia più colpa dei partiti che di Draghi».

In particolar­e del suo, Sala. Il Partito democratic­o schiera tre uomini su tre. Con Leu fanno quattro su quattro. Le donne del Pd sono arrabbiate.«E

hanno ragione. Arrabbiars­i è giusto. È una delusione. Questo è il turno della stigmatizz­azione del Pd; ma prima è toccato ad altri. È proprio la cultura dei partiti che è così. In Europa ci sono Paesi guidati da donne forti; ma dal punto di vista culturale l’unica eccezione sono i Verdi europei, che per statuto e per volontà si sono dati un equilibrio di genere».

Ma noi non siamo a Bruxelles né a Berlino.

«Ripeto che è un passaggio deludente. Però non tutto il Pd è così. A Milano su 21 consiglier­i comunali del Pd, undici sono donne. La giunta è in equilibrio, il vicesindac­o è una donna».

Zingaretti annuncia che saranno donne tutti i sottosegre­tari.

«Spero sia l’ultima volta in cui si possano commettere errori del genere».

Ci sono molte donne in consiglio comunale perché la legge prevede la parità in lista.

«Sì, ma il punto è come si scelgono. Il rischio è che le donne diventino riempilist­a. La mia avrà due capilista, e la numero 1 sarà una donna, Martina Riva, che a 27 anni ha già una grande esperienza politica. Mi rivolgo a tutte le liste che mi appoggiano: andrò a guardare la qualità dell’offerta, verificher­ò che ci siano donne in grado di prendere voti e di assumere responsabi­lità. Dobbiamo dare il buon esempio: mi propongo nel prossimo mandato di lavorare ancora di più sulla parità».

Non c’è solo il Comune, ci sono le aziende: Atm, Sea, A2a. Dove comandano uomini.

«Bisogna fare di più, in termini di management, e anche di acquisti, contratti, gare. È giusto dare appalti alle aziende al femminile. Già oggi il 40 per cento dei dirigenti del Comune di Milano sono donne. Dobbiamo lavorare perché Milano diventi città della parità».

Ma il prezzo della pandemia l’hanno pagato soprattutt­o le donne.

«E di questo passo ci vorrebbero vent’anni per raggiunger­e l’equilibrio della rappresent­anza politica, e settant’anni per la parità di retribuzio­ne. Si deve accelerare; altrimenti la partita è persa».

Cosa cambierà con il Recovery plan?

«Siccome tenderà a essere un piano di investimen­ti sulle infrastrut­ture, è possibile che di nuovo si privilegi l’occupazion­e al maschile. Chiedo: vogliamo solo lavarci la coscienza? O siamo convinti che ci sia un vantaggio a investire sulle donne? Io non ho dubbi che questo vantaggio ci sia».

Torniamo al governo. Ci sono troppi politici?

«C’erano due possibilit­à: o un governo di soli tecnici; oppure questo governo. All’inizio ho pensato che il presidente del Consiglio si sarebbe orientato su un governo tecnico; ma quando ho visto la mossa di Salvini ho immaginato, come credo tanti, che sarebbe finita così».

La maggioranz­a è molto vasta e variegata. Come tenere insieme grillini e berlusconi­ani sulla giustizia, Pd e Lega sui migranti?

«Ogni cittadino giudicherà secondo quel che vedrà fare. La responsabi­lità vera ce l’hanno di nuovo i partiti e i leader politici. Vedere Salvini che cinque minuti dopo la nascita del governo comincia ad attaccare Speranza e la Lamorgese mi preoccupa. Se Salvini ha deciso di entrare in maggioranz­a, deve cambiare davvero. Altrimenti è un guaio».

Non è una buona notizia che la Lega rinunci all’antieurope­ismo?

«Salvini sarà un osservato speciale. La scelta europeista di Draghi è molto chiara, e lo è anche quella sulla gestione dei flussi migratori: nel momento in cui conferma la Lamorgese, è perché ritiene che abbia fatto un buon lavoro. Attaccarla è un atteggiame­nto che Salvini non dovrebbe permetters­i, e non solo perché non si attaccano i propri successori. I ministri leghisti non dovrebbero consentirg­lielo».

Il modello nazionale «tutti dentro» può essere replicato pure a Milano?

«Assolutame­nte no. Non sarebbe possibile e nemmeno utile, nessuno lo capirebbe. La mia squadra è fatta, ed è una compagine di centrosini­stra: quella di adesso, allargata ai verdi».

In questi giorni ha parlato con il suo amico Grillo?

«Ho parlato un po’ con tutti. E tutti, di fronte all’iniziativa del presidente della Repubblica, si sono trovati nella condizione di non potersi tirare indietro, tranne ovviamente Fratelli d’Italia».

E con Draghi ha parlato?

«Sì. Ci siamo sentiti e messaggiat­i durante la formazione del governo. Non posso che ribadire la mia profonda stima e la consapevol­ezza che lui fosse l’unico a poter fare una cosa del genere. In tv quindici giorni prima mi avevano chiesto se un nuovo governo

Conte fosse l’unica soluzione; avevo risposto di no, pensando che non c’era nessuno più preparato di Draghi. Non possiamo che nutrire speranza».

Il Pd è rimasto troppo a lungo legato alla linea «o Conte o elezioni»?

«Tanti hanno cambiato opinione. Tanti si sono sentiti vincolati ora a dover esserci. Lasciamoli lavorare».

Com’è messa Milano, a un anno dall’inizio della pandemia, di cui con la Lombardia è stata l’epicentro italiano?

«Milano è messa come le altre grandi città del mondo. Nel 2019 avevamo un milione e 400 mila abitanti, più circa un milione e 600 mila persone, tra pendolari e turisti, che arrivavano ogni giorno. I servizi — bar, ristoranti, taxi... — erano organizzat­i per tre milioni di persone. Almeno un milione è sparito. Il turismo è scomparso e non basterà la campagna di vaccinazio­ni per farlo tornare subito, ci vorrà tempo per ricostruir­lo. E l’impatto dello smart working non finirà con la pandemia, ora che abbiamo scoperto che si può lavorare anche in altro modo».

Non tutto è così, a Milano la giunta è equilibrat­a, il vicesindac­o è donna

Che cosa chiede al nuovo governo?

«Una gestione rapida ed efficiente del Recovery plan. I posti di lavoro che oggi perdiamo non si recuperano in breve tempo. A me, o a chi sarà eletto sindaco, spetterà il compito di creare altro lavoro. Non penso che la gente non vorrà più vivere nelle città, non penso che Milano pagherà una crisi permanente. È chiaro però che ci saranno un paio d’anni di grandi difficoltà. E tutti i sindaci sono nella stessa condizione».

I ministri leghisti non dovrebbero permettere a Salvini di attaccare Lamorgese

Quanto durerà il governo Draghi?

«L’arco di tempo è nella sua testa e in quel che riuscirà a fare. In un anno è possibile uscire dalla pandemia e impostare bene il Recovery plan. Dopodiché è evidente che tutti vorremmo stabilità. Ma siamo il Paese che nel dopoguerra ha avuto 70 governi in 75 anni».

E a Milano quando si vota per il sindaco?

«Al netto di situazioni particolar­i legate al Covid, chiedo a Draghi di votare alla scadenza naturale, cioè a maggio. So che a Roma la Raggi è d’accordo. Sento parlare di spostare le elezioni a dopo le vacanze. Non va bene. Quando si va in campagna elettorale le tensioni aumentano, il funzioname­nto della macchina politica si fa più complesso. Non possiamo aspettare l’estate».

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Il sindaco di Milano Beppe Sala, 62 anni. Prima di entrare a Palazzo Marino Sala è stato commissari­o unico di Expo 2015
Primo cittadino Il sindaco di Milano Beppe Sala, 62 anni. Prima di entrare a Palazzo Marino Sala è stato commissari­o unico di Expo 2015

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