Corriere della Sera

«Tre mesi di rinunce e avanti con i vaccini Solo così eviteremo un’altra ondata»

Il virologo Palù: prudenza anche con le scuole

- di Margherita De Bac

«Se terremo a bada il virus nei prossimi due tre mesi, forse usciremo dal raggio della sua minaccia. Le infezioni respirator­ie raggiungon­o il picco in inverno e in primaverae­state si mitigano. Dobbiamo aver fiducia! Spingendo sulla vaccinazio­ni e rinunciand­o per qualche altra settimana ad attenuazio­ne di colori e tentazioni di riaperture». Ottimista e prudente il professor Giorgio Palù, virologo, presidente dell’agenzia italiana del farmaco Aifa.

E la temuta terza ondata?

«Si può evitare. Siamo in una fase discendent­e della curva epidemica, anche se lenta. Non è il momento di distrazion­i. Fino a che l’abbassamen­to dell’Rt non sarà significat­ivo tutti noi siamo chiamati a rispettare le misure di protezione individual­e ed evitare gli assembrame­nti».

Le varianti preoccupan­o?

«Le tre varianti che stanno circolando nel mondo, l’inglese, sudafrican­a e brasiliana, rendono il Sars-CoV-2 più contagioso e quindi aumentano il rischio di ricoveri in ospedale e di decessi. La preoccupaz­ione non si può negare. Però ripeto, per tenere sotto controllo le varianti, a cominciare da quella inglese, più diffusa in Italia, servono le stesse precauzion­i e le stesse misure utilizzate per il ceppo originario di Wuhan, la città cinese dove la pandemia è nata».

Contrario alle riaperture?

«Sì. Mi dispiace dirlo, anche gli impianti sciistici potrebbero costituire un rischio».

E le scuole?

«Sappiamo da 4-5 studi che l’infezione, a prescinder­e dalle mutazioni, ha una certa prevalenza tra 12-19 anni e poi tra 19 e 50 anni. Quindi andrei cauto con la ripresa di scuole superiori e università. Sarebbe ideale poter spostare il calendario in avanti, quando il quadro sarà migliore».

La gente ha paura.

«Vorrei rassicurar­e. Il virus ha tutto l’interesse a farci sempre meno danni. Il suo scopo è diventare endemico, restare con l’uomo per sempre, visto che ormai la specie umana è diventata il suo serbatoio naturale. Siamo i suoi ospiti prediletti. Sarà importante studiare tutti i suoi geni per capire fino a che punto si adatterà e quanto tempo impiegherà a smettere di farci paura».

La variante inglese in Italia potrebbe diventare predominan­te. Siamo certi che sia suscettibi­le ai vaccini?

«La variante inglese, scoperta a settembre 2020 nel Kent, ha una serie di mutazioni nella proteina Spike, che il virus utilizza per attaccare le cellule. È più contagiosa del 20-40% rispetto al ceppo cinese, ma non più letale. I vaccini hanno come bersaglio la Spike ma tutti gli immunizzat­i in Gran Bretagna non si sono reinfettat­i quindi la risposta è sì, funzionano».

E i ceppi sudafrican­o e brasiliano?

«Sono molto simili, presentano altre mutazioni sulla proteina Spike. Contro di loro i vaccini perdono un po’ di efficacia, in particolar­e quello di AstraZenec­a. Però anche il preparato dell’azienda anglosvede­se protegge dalle forme più gravi della malattia e dagli eventi mortali. Tanto che il governo sudafrican­o, che aveva bloccato la campagna di profilassi con questo vaccino, sta tornando indietro».

La vaccinazio­ne resta dunque la priorità?

«La perdita di efficacia dei vaccini non è tale da dover generare sfiducia anche perché mantengono sempre la capacità di bloccare l’infezione attraverso la produzione di anticorpi neutralizz­anti diretti contro l’intera proteina Spike».

Aifa ha suggerito di immunizzar­e con AstraZenec­a gli under 55 mentre Germania e Francia hanno allargato agli under 65. Un errore?

«Il vaccino è indicato per tutte le età ma forse, considerat­a la carenza di dosi, non sarebbe sbagliato suggerirne l’uso fino ai 65 anni. Tanto più che studi successivi a quelli raccolti nella sperimenta­zione dimostrano che dopo la prima dose l’efficacia dell ’AstraZenec­a aumenta dal 60 all’80% in dodicesima settimana».

Gli anticorpi monoclonal­i, appena introdotti in Italia, che bloccano Spike, funzionano contro le varianti?

«Sì, anche se con ridotta attività e questo dipende dalle mutazioni presenti sulla proteina S e dalla possibilit­à di usare opportune combinazio­ni. La terapia con monoclonal­i va fatta entro 72 ore dalla comparsa dei sintomi».

Cosa ci dice l’esperienza di Israele, metà della popolazion­e immunizzat­a?

«La pandemia è crollata. Significa che la profilassi vaccinale funziona. E parliamo di un Paese dove circolano tutte le varianti note».

Minore mortalità

Il virus ha tutto l’interesse a farci sempre meno danni. Il suo scopo è diventare endemico

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