A ministri e capigruppo compiti da «pontieri» La strategia per ridurre gli attriti tra i partiti
Il premier prepara il suo discorso per la fiducia in Parlamento La moratoria chiesta alle forze politiche per arrivare alle intese
Serve una moratoria tra partiti. Non basta votare la fiducia al governo e sedere in Consiglio dei ministri, se poi forze politiche fino a ieri avversarie e oggi alleate non sottoscrivono una tregua che garantisca una rotta senza scogli all’esecutivo. Dentro e fuori il Parlamento. Perciò non era un’ovvietà la richiesta che faceva Mario Draghi durante le consultazioni, quando da premier incaricato includeva questa condizione ai leader che gli comunicavano il loro appoggio. Riscrivere il Recovery plan sarebbe stato facile. È sul resto che prevedeva una navigazione più complicata. Non solo per i dossier lasciati aperti dal suo predecessore — dall’Ilva all’Alitalia, da Autostrade al 5G — ma anche per la gestione dell’emergenza pandemica. Che è l’altra sua priorità.
È stato facile profeta. Primo giorno da presidente del Consiglio, primi problemi e prime telefonate di alcuni leader della larga coalizione. Perché la chiusura degli impianti sciistici fino al 5 marzo — ufficializzata dal ministro della Salute a poche ore della riapertura delle piste — è stata vissuta dalla Lega come la riapparizione del governo Conte, con gli stessi uomini, gli stessi metodi, gli stessi annunci «terroristici» degli esperti. E sebbene non attacchi direttamente Roberto Speranza, Matteo Salvini auspica che venga cambiata la squadra dei tecnici e dei manager impiegata finora nella crisi del Covid-19. Più o meno quanto sostengono anche quei deputati dem, a partire da Enrico Borghi, assai critici per la «discutibile tempistica» adottata dal ministero della Salute.
Questa è la solita quotidianità di ogni capo di governo, solo che questo non è il solito governo. E le tensioni di ieri hanno colto Draghi mentre era impegnato a rivedere una prima bozza del suo discorso alle Camere per la fiducia, che si dipanerà sulla falsariga delle parole pronunciate quando Sergio Mattarella gli affidò l’incarico e del discorso svolto ieri l’altro in Consiglio dei ministri: poche pagine a cui farà seguito l’illustrazione delle priorità per ogni area di intervento. Il Parlamento è pronto a votargli una fiducia numericamente schiacciante, ma politicamente servirà un sostegno convincente. Perché, proprio in Parlamento, le criticità di una maggioranza ancora non rodata rischiano di far incagliare l’azione del governo.
Così ritorna il tema della moratoria, chiesta dal premier quando era solo incaricato: l’unica soluzione possibile sarà trovare un compromesso tra le forze della grande coalizione sull’adozione di un metodo di lavoro condiviso. Su questo, si potrà saggiare la volontà dei partiti di sostenere davvero il lavoro di Draghi. Si potrà cioè capire fino a che punto reggerà un’intesa, accettata da tutti più per costrizione che per convinzione. La breve discussione che si è aperta l’altro ieri sull’argomento, durante la prima riunione del governo, ha portato subito a scartare l’ipotesi che si possa applicare una soluzione verticistica, facendo precipitare in Parlamento i provvedimenti dopo l’accordo raggiunto in Consiglio dei ministri. Piuttosto si sta studiando una strada diversa, più faticosa ma più utile. L’opera preparatoria per trovare un compromesso sarà affidata ai ministri che rappresentano i partiti nel governo. E insieme a loro sarà fondamentale il lavoro dei capigruppo della larga maggioranza, che già sanno (e dicono) di doversi trasformare in «pompieri e pontieri». È necessario che la camera di compensazione abbia formalmente un profilo parlamentare, perché sarebbe impensabile la convocazione ufficiale a Palazzo Chigi di vertici tra capi di partito.
Ma i contatti riservati dei leader con il presidente del Consiglio — come racconta una fonte autorevole — sono iniziati e sono destinati a intensificarsi: sui temi più complicati sarà inevitabile. D’altronde senza una moratoria tra partiti e senza «pompieri e pontieri», in Parlamento si correrebbe il rischio di assistere a votazioni con maggioranze a geometrie variabili, su cui il governo non potrebbe reggersi. La vicenda di ieri dimostra che va superata rapidamente la fase di rodaggio. E l’accordo sul metodo di lavoro nella coalizione non è questione procedurale: è il cuore dell’accordo politico.
Il confronto
I contatti riservati dei leader con il capo del governo sono destinati a intensificarsi