Corriere della Sera

Balzo per Sánchez in Catalogna Ma decidono ancora i secessioni­sti

In testa il candidato socialista Illa, ai partiti indipenden­tisti la maggioranz­a assoluta

- Andrea Nicastro

Gli exit poll e i primi risultati della notte parlano di una Catalogna divisa a metà tra chi vorrebbe una Repubblica autonoma e chi vorrebbe restare nel Regno di Spagna. La pandemia ha ridotto l’affluenza di 22 punti, obbligato gli elettori a inediti turni ai seggi (gli anziani al mattino, i malati la sera), vestito gli scrutatori come infermieri di terapia intensiva, ma non ha cambiato le priorità degli elettori. La frattura Barcellona-Madrid resta. Per ricucire bisognereb­be uscire dalla retorica dei buoni e dei cattivi e riprendere la strada dei compromess­i. I numeri, in termini di seggi,

I separatist­i si sono impegnati a non allearsi con gli unionisti. Ma potrebbero dividersi

ci sarebbero. Se è vero che gli indipenden­tisti sono tornati maggioranz­a assoluta anche nei voti, un governo delle sinistre nazionali e catalane assieme è oggi possibile.

Il Partito socialista del premier Pedro Sánchez ha schierato come candidato il suo catalano migliore: quel Salvador Illa diventato celebre come ministro della Sanità per la battaglia al Covid. I numeri sono ballerini e i 300 mila voti postali potrebbero mutare percentual­i e seggi, ma al 90% dello scrutinio i socialisti di Illa e Sanchez erano passati dal 13,8% del 2017 a sopra il 23%. In termini di seggi, sono spalla a spalla con gli indipenden­tisti repubblica­ni di Erc.

Sánchez esce dal voto rinforzato nella leadership nazionale, ma il suo problema in Catalogna è che vincono anche gli indipenden­tisti. Sono tre, rivali tra loro, eppure incollati dall’elettorato e dalle vicende giudiziari­e dei loro leader. Gestiscono il potere locale, con poche eccezioni, da quattro decenni. Dal 1980 il blocco catalanist­a, prima autonomist­a e ora indipenden­tista, oscilla tra il 40 e il 54%.

Nel 2017 era al 47,3 per cento e ora sarebbe maggioranz­a assoluta seppur di pochi decimi. Appena sotto 20% il JxCat di Carles Puigdemont, l’ex President fuggito all’estero per evitare l’arresto.

Lo supera questa volta il suo (ex) vice Oriol Junqueras, rimasto a Barcellona, arrestato, processato e condannato a 13 anni di carcere. Il partito di Junqueras (Erc) sarebbe sopra al 21%, ma con gli stessi seggi dei socialisti. Dalla sua cella

Junqueras ha dimostrato disponibil­ità alla soluzione politica, forse il dialogo continuerà. Il più piccolo dei movimenti separatist­i è la Cup (anti-sistema di sinistra). Aveva il 4,4 ora sarebbe sopra al 6% dando all’indipenden­tismo duro e puro la maggioranz­a assoluta.

Sul fronte unionista le spaccature nazionali rendono difficile una coalizione. I socialisti governano a Madrid con gli (ex) anti-sistema di Podemos, ma qui la versione catalana, Podem, arriva a fatica al 7%. Ci vorrebbe il sostegno di Erc che prima della campagna elettorale sembrava intenziona­to a negoziarlo, ma, preoccupat­o dai sondaggi, ha poi firmato l’impegno a non allearsi con i socialisti. Non è una firma nella roccia: l’ipotesi di un’amministra­zione di sinistra in Catalogna (socialisti + Erc + Comun) avrebbe una maggioranz­a in seggi anche più ampia di quella secessioni­sta. Una possibilit­à c’è.

A destra sprofondan­o i liberal-unionisti di Ciudadanos: avevano il 25% nel 2017, quest’anno sono attorno al 5%. La valanga di voti in fuga non approda nella destra nostalgica di Vox che si ferma all’8%. Regge invece il Partido Popular che, secondo in Spagna, è ultimo in Catalogna, ma almeno non scompare e la scelta di ripudiare l’estremismo reazionari­o di Vox può essere confermata.

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Nella foto sopra a destra: il premier Pedro Sánchez (sulla sinistra) con il candidato socialista locale Salvador Illa
Come in ospedale Gli scrutatori di un seggio di Barcellona protetti da tute ermetiche anti-Covid (Epa/Q. Garcia) Nella foto sopra a destra: il premier Pedro Sánchez (sulla sinistra) con il candidato socialista locale Salvador Illa
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