Balzo per Sánchez in Catalogna Ma decidono ancora i secessionisti
In testa il candidato socialista Illa, ai partiti indipendentisti la maggioranza assoluta
Gli exit poll e i primi risultati della notte parlano di una Catalogna divisa a metà tra chi vorrebbe una Repubblica autonoma e chi vorrebbe restare nel Regno di Spagna. La pandemia ha ridotto l’affluenza di 22 punti, obbligato gli elettori a inediti turni ai seggi (gli anziani al mattino, i malati la sera), vestito gli scrutatori come infermieri di terapia intensiva, ma non ha cambiato le priorità degli elettori. La frattura Barcellona-Madrid resta. Per ricucire bisognerebbe uscire dalla retorica dei buoni e dei cattivi e riprendere la strada dei compromessi. I numeri, in termini di seggi,
I separatisti si sono impegnati a non allearsi con gli unionisti. Ma potrebbero dividersi
ci sarebbero. Se è vero che gli indipendentisti sono tornati maggioranza assoluta anche nei voti, un governo delle sinistre nazionali e catalane assieme è oggi possibile.
Il Partito socialista del premier Pedro Sánchez ha schierato come candidato il suo catalano migliore: quel Salvador Illa diventato celebre come ministro della Sanità per la battaglia al Covid. I numeri sono ballerini e i 300 mila voti postali potrebbero mutare percentuali e seggi, ma al 90% dello scrutinio i socialisti di Illa e Sanchez erano passati dal 13,8% del 2017 a sopra il 23%. In termini di seggi, sono spalla a spalla con gli indipendentisti repubblicani di Erc.
Sánchez esce dal voto rinforzato nella leadership nazionale, ma il suo problema in Catalogna è che vincono anche gli indipendentisti. Sono tre, rivali tra loro, eppure incollati dall’elettorato e dalle vicende giudiziarie dei loro leader. Gestiscono il potere locale, con poche eccezioni, da quattro decenni. Dal 1980 il blocco catalanista, prima autonomista e ora indipendentista, oscilla tra il 40 e il 54%.
Nel 2017 era al 47,3 per cento e ora sarebbe maggioranza assoluta seppur di pochi decimi. Appena sotto 20% il JxCat di Carles Puigdemont, l’ex President fuggito all’estero per evitare l’arresto.
Lo supera questa volta il suo (ex) vice Oriol Junqueras, rimasto a Barcellona, arrestato, processato e condannato a 13 anni di carcere. Il partito di Junqueras (Erc) sarebbe sopra al 21%, ma con gli stessi seggi dei socialisti. Dalla sua cella
Junqueras ha dimostrato disponibilità alla soluzione politica, forse il dialogo continuerà. Il più piccolo dei movimenti separatisti è la Cup (anti-sistema di sinistra). Aveva il 4,4 ora sarebbe sopra al 6% dando all’indipendentismo duro e puro la maggioranza assoluta.
Sul fronte unionista le spaccature nazionali rendono difficile una coalizione. I socialisti governano a Madrid con gli (ex) anti-sistema di Podemos, ma qui la versione catalana, Podem, arriva a fatica al 7%. Ci vorrebbe il sostegno di Erc che prima della campagna elettorale sembrava intenzionato a negoziarlo, ma, preoccupato dai sondaggi, ha poi firmato l’impegno a non allearsi con i socialisti. Non è una firma nella roccia: l’ipotesi di un’amministrazione di sinistra in Catalogna (socialisti + Erc + Comun) avrebbe una maggioranza in seggi anche più ampia di quella secessionista. Una possibilità c’è.
A destra sprofondano i liberal-unionisti di Ciudadanos: avevano il 25% nel 2017, quest’anno sono attorno al 5%. La valanga di voti in fuga non approda nella destra nostalgica di Vox che si ferma all’8%. Regge invece il Partido Popular che, secondo in Spagna, è ultimo in Catalogna, ma almeno non scompare e la scelta di ripudiare l’estremismo reazionario di Vox può essere confermata.