Corriere della Sera

LA CONVIVENZA IMPOSSIBIL­E NEL MOVIMENTO 5 STELLE

- Luciano Fontana

Caro direttore,

La votazione dei 5 Stelle su Rousseau è stato il congresso che il Movimento non ha mai voluto fare. Ha vinto la tesi governativ­a su quella contraria, ma con una minoranza così consistent­e (40%) da rendere alto il rischio di una spaccatura, favorita dall’addio di Di Battista. Il dato meno apparente, ma altrettant­o significat­ivo, è quello relativo ai non votanti, quasi 78 mila iscritti. Il fatto che così tanti degli aventi diritto si siano disinteres­sati a un passaggio così cruciale del Movimento può dire solo una cosa: che l’hanno già lasciato. Ora, se Grillo e i suoi vogliono riconquist­are questa diaspora, dovranno far funzionare il ministero della Transizion­e ecologica, su cui hanno puntato tutto. Cosa non facile, perché non si tratta solo di perimetrar­e una nuova competenza, ma di assumere un metodo innovativo — e invasivo — di decisione trasversal­e. Che attraverse­rà quasi tutti gli altri dicasteri. E, in queste complesse intersezio­ni di potere, capire chi avrà l’ultima parola sarà difficile e politicame­nte poco esigibile, visto che la tutela dell’ambiente porta vantaggi differiti, mentre gli interessi economici vogliono incassi a breve.

Massimo Marnetto

Caro signor Marnetto,

Io ho avuto sempre molti dubbi sulla piattaform­a Rousseau. È stata presentata come la realizzazi­one della democrazia diretta ma in realtà è uno strumento riservato ai militanti, con un processo di selezione poco trasparent­e e con un controllo da parte dei vertici molto ferreo. Se non sbaglio una sola volta il risultato del voto è stato contrario rispetto alle indicazion­i dei dirigenti. Le domande poi sono state sempre chiarament­e partigiane (in modo eclatante in quest’ultimo passaggio) e mirate a sostenere le tesi dei capi del Movimento.

Detto questo penso che l’ultima consultazi­one sia stata importante: finalmente sono uscite allo scoperto due idee diverse sulla natura e il futuro del Movimento. Quella che ha vinto ha messo da parte il ribellismo e le pulsioni antieurope­e. Ha capito che governare e cambiare il Paese è molto più difficile che urlare un vaffa. Si è misurata con le questioni della competenza e con l’arte del compromess­o che in politica è sempre indispensa­bile se non risponde a interessi inconfessa­bili. E ha soprattutt­o compreso l’importanza di un sistema di alleanze.

La minoranza del 40 per cento (fra i militanti su Rousseau, non credo tra gli elettori e tra i parlamenta­ri) evoca invece sempre il mito delle origini, della separazion­e, della purezza (salvo litigare mille volte sugli scontrini e i rimborsi), della solitudine politica. Come se esistesse un mondo ideale da loro popolato mentre il resto del Paese e della politica fosse solo marcio e detestabil­e. Credo sia un bene per gli elettori grillini e per il Paese che le due visioni del Movimento si siano scontrate e misurate. Probabilme­nte le due anime si separerann­o. Difficile possano convivere a lungo. Tra chi punta al governo del Paese e all’alleanza con il Pd e i seguaci del Che Guevara di Roma nord, Alessandro Di Battista, la distanza sta diventando abissale.

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