LA CONVIVENZA IMPOSSIBILE NEL MOVIMENTO 5 STELLE
Caro direttore,
La votazione dei 5 Stelle su Rousseau è stato il congresso che il Movimento non ha mai voluto fare. Ha vinto la tesi governativa su quella contraria, ma con una minoranza così consistente (40%) da rendere alto il rischio di una spaccatura, favorita dall’addio di Di Battista. Il dato meno apparente, ma altrettanto significativo, è quello relativo ai non votanti, quasi 78 mila iscritti. Il fatto che così tanti degli aventi diritto si siano disinteressati a un passaggio così cruciale del Movimento può dire solo una cosa: che l’hanno già lasciato. Ora, se Grillo e i suoi vogliono riconquistare questa diaspora, dovranno far funzionare il ministero della Transizione ecologica, su cui hanno puntato tutto. Cosa non facile, perché non si tratta solo di perimetrare una nuova competenza, ma di assumere un metodo innovativo — e invasivo — di decisione trasversale. Che attraverserà quasi tutti gli altri dicasteri. E, in queste complesse intersezioni di potere, capire chi avrà l’ultima parola sarà difficile e politicamente poco esigibile, visto che la tutela dell’ambiente porta vantaggi differiti, mentre gli interessi economici vogliono incassi a breve.
Massimo Marnetto
Caro signor Marnetto,
Io ho avuto sempre molti dubbi sulla piattaforma Rousseau. È stata presentata come la realizzazione della democrazia diretta ma in realtà è uno strumento riservato ai militanti, con un processo di selezione poco trasparente e con un controllo da parte dei vertici molto ferreo. Se non sbaglio una sola volta il risultato del voto è stato contrario rispetto alle indicazioni dei dirigenti. Le domande poi sono state sempre chiaramente partigiane (in modo eclatante in quest’ultimo passaggio) e mirate a sostenere le tesi dei capi del Movimento.
Detto questo penso che l’ultima consultazione sia stata importante: finalmente sono uscite allo scoperto due idee diverse sulla natura e il futuro del Movimento. Quella che ha vinto ha messo da parte il ribellismo e le pulsioni antieuropee. Ha capito che governare e cambiare il Paese è molto più difficile che urlare un vaffa. Si è misurata con le questioni della competenza e con l’arte del compromesso che in politica è sempre indispensabile se non risponde a interessi inconfessabili. E ha soprattutto compreso l’importanza di un sistema di alleanze.
La minoranza del 40 per cento (fra i militanti su Rousseau, non credo tra gli elettori e tra i parlamentari) evoca invece sempre il mito delle origini, della separazione, della purezza (salvo litigare mille volte sugli scontrini e i rimborsi), della solitudine politica. Come se esistesse un mondo ideale da loro popolato mentre il resto del Paese e della politica fosse solo marcio e detestabile. Credo sia un bene per gli elettori grillini e per il Paese che le due visioni del Movimento si siano scontrate e misurate. Probabilmente le due anime si separeranno. Difficile possano convivere a lungo. Tra chi punta al governo del Paese e all’alleanza con il Pd e i seguaci del Che Guevara di Roma nord, Alessandro Di Battista, la distanza sta diventando abissale.