Corriere della Sera

Matilda e la legge senza giustizia

- di Giusi Fasano

«Cercavi giustizia ma trovasti la legge» cantava De Gregori nella sua Il bandito e il campione. Forse sarebbe bastato scrivere questo, nella sentenza che ha chiuso il caso di Matilda Borin, una palese resa della Giustizia e nello stesso tempo un palese trionfo della legge e del principio in dubio pro reo davanti a un rebus irrisolvib­ile: chi ha ucciso quella bambina dagli occhi azzurri? Aveva 22 mesi, Matilda. Un caldissimo giorno di luglio del 2005 fu l’ultimo di cui vide la luce, a Roasio (Vercelli). Era con sua madre, Elena Romani, a casa dell’uomo che lei (hostess separata dal marito) frequentav­a in quel periodo. Lui era Antonio Cangialosi, ex bodyguard. Matilda quel giorno dormiva nel lettone di casa, Elena e Antonio erano sul divano. Lei sente la piccola che piange, corre, la trova che ha vomitato, la pulisce, la coccola, poi va a sciacquare e stendere quel che ha sporcato e lascia lui con la bimba, così giura fin dal primo giorno. Quando rientra, pochi minuti dopo, Matilda sta morendo. Ha lesioni alle costole, la milza spappolata e un rene distaccato da un colpo violento alla schiena, forse un calcio. Ora. In quella casa c’erano soltanto Elena e Antonio, quindi o è stato lui o è stata lei. Ma per tutti questi anni i due si sono accusati a vicenda. Lei dice che la piccolina stava bene quando l’ha lasciata con lui, lui dice che non le ha mai fatto nulla, che quand’è arrivato in camera da letto l’ha solo presa in braccio. Dopo quel pomeriggio Matilda ha dato il nome a due fascicoli giudiziari; il primo accusava lei, processata e assolta fino in Cassazione; il secondo lui: stessa sorte (la parola fine è di pochi giorni fa). In appello, mentre chiedeva di assolvere Cangialosi, il procurator­e generale disse che «non essere arrivati a un giudizio di colpevolez­za è una sconfitta per tutti noi che ci siamo occupati del caso ed è una sconfitta del sistema giudiziari­o, ma condannare un innocente sarebbe ancora peggio». Nella motivazion­e di quella sentenza c’è scritto che «uno dei due è certamente colpevole», «uno o l’altro ha mentito». Ha trionfato la legge, appunto: sulla bilancia della giustizia il ragionevol­e dubbio ha pesato più della condanna. Ma c’è un verdetto non scritto, in tutta questa storia. Dice che loro due, pur assolti, sono condannati al sospetto del mondo per tutta la vita. E dice che Matilda — oggi avrebbe 17 anni — non avrà mai giustizia.

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