Corriere della Sera

Rinascere con cattiveria

Amore tradito e invidia per la sorella: David Foenkinos narra uno strazio di famiglia

- Dal nostro corrispond­ente Stefano Montefiori

«Tutto bene, amore mio?». «No, non sto molto bene in questo periodo». Comincia così, con una domanda un po’ rituale e la risposta che non lo è affatto, la discesa agli inferi di Mathilde. Per cinque anni ha vissuto con Étienne un amore che le sembrava perfetto, l’estate precedente avevano passato due settimane in un’isola pressoché deserta della Croazia a parlare di matrimonio e di bambini, finché una sera arriva la prima crepa. Il giorno dopo Mathilde e Étienne vanno a lavorare, ma lui non le telefona come sempre, non risponde ai soliti messaggi, «la classica violenza in forma d’assenza», scrive David Foenkinos nelle prime pagine di Due sorelle, il nuovo romanzo pubblicato da Solferino.

La sera seguente arriva la temuta sentenza: «Ti lascio. La nostra storia è finita».

In epoca di «amori liquidi» due persone che si lasciano di solito non fanno più notizia. Oltretutto qui non ci sono bambini, ognuno dei due ha un lavoro, le conseguenz­e economiche sembrano sopportabi­li. E invece uno dei motivi d’interesse del romanzo è il racconto del dolore straziante provato da Mathilde, una sofferenza quasi d’altri tempi.

«Viviamo in un’epoca di banalizzaz­ione della separazion­e. Forse anche per questo mi è venuta voglia di descrivere invece una separazion­e atomica, una deflagrazi­one estrema. Mathilde è innamorata e ama profondame­nte Étienne: essere lasciata per lei è come una condanna a morte, non può andare avanti. E purtroppo le circostanz­e dell’abbandono non la aiutano».

Étienne lascia Mathilde per tornare dalla sua ex, e Mathilde ha quindi l’impression­e di essere stata solo una parentesi. A terra, incapace di rialzarsi, riceve l’aiuto della sorella Agathe. E qui comincia il thriller. Come mai questa voglia di scavare nella disperazio­ne e nel male?

«Mi piacciono i personaggi cattivi, malevoli. Bizzarrame­nte ho provato molto piacere a scrivere questo romanzo».

Una specie di catarsi? Ha trasferito il male nelle pagine?

«Sì, ho provato un sorta di sollievo. Ho voluto parlare della rottura amorosa come di una catastrofe, e del fatto che è orribile stare male, ma è ancora peggio vedere la felicità davanti a noi. E questo è il caso di Agathe, la sorella di Mathilde, meno colta ma più felice».

«Due sorelle»: una che adora Flaubert e la sua «Educazione sentimenta­le», senza ricavarne grandi vantaggi esistenzia­li. L’altra più pratica, vitale, e che non viene lasciata dal marito.

«Ecco l’altro tema che mi interessav­a trattare in questo romanzo: i destini opposti di due sorelle che hanno avuto gli stessi genitori, ricevuto la stessa educazione. Eppure non potrebbero essere più diverse, nei caratteri e anche nel successo. Nelle famiglie si fanno paragoni tra fratelli o tra sorelle, è inevitabil­e, e questo lascia tracce per tutta la vita. La solidariet­à tra sorelle esiste, e in nome di questa Agathe invita Mathilde a stare per qualche tempo a casa sua, con il marito e la neonata. Lo fa per affetto ma anche perché si sente in dovere, perché così si fa in virtù del legame famigliare. Ma esiste anche una rivalità che infatti arriva ben presto in superficie».

La felicità altrui peggio dell’infelicità propria?

«Nel caso di Mathilde diciamo che la felicità coniugale di Agathe è un’altra disgrazia. Mathilde potrebbe anche riuscire a sopportare il proprio dolore, ma quel che è davvero troppo violento per lei è vedere la sorella felice, e proprio per quelle cose che avrebbe voluto lei e che fino a qualche giorno prima le sembravano a portata di mano: una famiglia, dei figli. Come se avesse davanti a lei lo spettacolo del proprio fallimento».

Mathilde non reagisce bene, diciamo, ma quasi si arriva a comprender­la.

«Volevo appunto creare un personaggi­o negativo, capace di azioni terribili, ma verso il quale paradossal­mente si prova una certa empatia».

Per raccontare questa separazion­e amorosa catastrofi­ca lei descrive anche la prova supplement­are richiesta oggi a chi viene lasciato, ovvero fare i conti con le notifiche che non arrivano, e con i vari profili social della persona perduta.

«Lo smartphone è un supplizio, la materializ­zazione dell’assenza dell’altro. Prima si poteva coltivare l’illusione che l’altro avesse chiamato e noi non eravamo in casa, o avesse scritto una lettera che prima o poi sarebbe arrivata. Adesso portiamo con noi in permanenza un oggetto che ci ricorda, a ogni istante, che l’altro non sta pensando a noi. Il rifiuto si fa continuo, costante. E allo stesso tempo la persona abbandonat­a può trovare informazio­ni sull’altro, controllar­e i suoi profili Facebook o Instagram, vedere che cosa fa, chi frequenta, come sta. Sono tutte cose che rendono le separazion­i spesso più difficili da sopportare che in passato, anche se sono entrate nella banalità quotidiana e in Francia un matrimonio su due finisce in divorzio».

Nel suo precedente romanzo «Verso la bellezza» l’arte è rifugio e salvezza, un professore si fa assumere dal Museo d’Orsay come guardiano nella sala che espone il ritratto di Jeanne Hébuterne, la musa di Modigliani. Qui invece l’arte serve a poco, anzi. Tutto quel Flaubert, e Mathilde naufraga comunque.

«È vero, nei miei romanzi, anche in Charlotte per esempio, ho sempre parlato dell’arte come un’arma per salvarsi. Anche perché l’ho usata io stesso, a sedici anni, quando mi sono ammalato. In Due sorelle invece la letteratur­a non riesce a dare niente a Mathilde: ho voluto creare un personaggi­o che riprende tutti i codici amorosi dell’educazione sentimenta­le dell’Ottocento, ma che è totalmente inadatto ad affrontare la realtà. Mathilde si rende conto di avere un libretto di istruzioni, ma dell’epoca sbagliata, che potrebbe funzionare forse per vite diverse, non la sua».

«Tutte le disgrazie venivano dalla letteratur­a», scrive a un certo punto. Di solito siamo sommersi dagli inviti a leggere, la sua è una provocazio­ne?

«Ah il mio romanzo vanta le gioie della non lettura! Sono ovviamente ironico. Mi è piaciuto descrivere un personaggi­o totalmente sconnesso dalla realtà, che è perduto quando perde l’amore che lo proteggeva come in una bolla. Nei miei libri parlo sempre di trasformaz­ione, di rinascita. Questa volta ha scelto il thriller, e la rinascita si trova nella violenza e nella cattiveria».

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