Bombe a mano nell’insalata Fallaci, una esule a Firenze
Riccardo Nencini rievoca per l’editore Perrone il legame controverso tra la scrittrice e la sua città
Firenze, 1944. Una ragazzina di 14 anni risale in bici il corso dell’Arno fino a Pontassieve, superando i posti di blocco tedeschi. Da lì si inerpica su per l’aspra salita di Monte Giovi. Va dai partigiani di Aligi Barducci, nome di battaglia «Potente», a far rifornimento di bombe a mano. Le nasconde fra i cesti d’insalata e riparte verso la città, trenta chilometri con il cuore in gola, per consegnarle al padre Edoardo che è con un gruppo di partigiani «azionisti» nell’antica Torre dei Mannelli, sul Ponte Vecchio.
Quella combattente bambina è Oriana Fallaci. Sullo stesso monte fa la staffetta un’altra ragazza, poco più grande: ha sedici anni ma è già una donna; porta sigarette e messaggi agli uomini di Potente. Si chiama Nada Giorgi ed è La
ragazza di Bube: Carlo Cassola la chiamerà Mara e ne racconterà la vicenda, trasposta in Val d’Elsa dalla Val di Sieve dove è realmente avvenuta. Le strade di Oriana e di Nada si sfiorano rimanendo parallele: le due, infatti, non si conosceranno, nemmeno in seguito (Giorgi è morta nel 2012). È uno degli squarci inediti che emergono nel libro A Firenze
con Oriana Fallaci scritto dal senatore toscano Riccardo Nencini, che con la giornalista e scrittrice ha avuto un rapporto di amicizia e collaborazione, ancora più stretto negli ultimi anni di lei. Il volume è appena uscito da Giulio Perrone editore. Fu lo stesso Nencini a suggerire a Fallaci la coincidenza dell’incrocio con la ragazza che ispirò il romanzo premio Strega nel 1960. Ottenendone un pensoso: «Ma guarda, anche lei in quell’inferno».
Quella di Nencini è una guida alla Firenze di Oriana Fallaci. Strade, monumenti, persone: vicende che emergono negli articoli, nei libri, nei ricordi di chi l’ha conosciuta. La città dov’è nata — il 29 giugno del 1929, diladdarno, nel quartiere di San Frediano, triviale allora, adesso il più cool al mondo secondo Lonely Planet — e dove ha voluto tornare per morirci, il 15 settembre del 2006. «Un percorso costruito sulle passioni di Oriana, un viaggio sentimentale emerso da tanti nostri colloqui. Il legame con Firenze lo sentiva in maniera stringente. C’era rispetto verso la città, ma non per la classe politica locale. Si sentiva emarginata, non amata», spiega l’autore. Che ricorda di averla accompagnata pochi mesi prima della morte alla Torre dei Mannelli. Avrebbe voluto chiudere per sempre gli occhi proprio lì dove visualizzava ancora il padre e gli altri partigiani di Giustizia e Libertà: «Le bombe, Riccardo. Svuotavo proprio lì i cesti d’insalata, davanti al babbo, e lui le distribuiva ai suoi come pezzi di pane. Sai chi c’era? Codignola, Agnoletti, Furno, Traquandi. Tutti sui trent’anni, Nello (Traquandi) aveva conosciuto i Rosselli, Tristano (Codignola) sarà deputato alla Costituente. La riforma scolastica porta la sua firma. Che gente!», ricordava in quel sopralluogo, commossa nonostante la scorza dura.
Nel volume gli aneddoti inediti o meno noti punteggiano la mappa della città. In piazza Pitti c’è l’appartamento dove dall’ottobre 1943 fino all’estate successiva visse nascosto Carlo Levi; qui scrisse Cristo si è fermato a Eboli. Nella primavera 1944 Oriana gli porta una pistola e del cibo. «La rivoltella è da donna, non mi serve. E da mangiare non c’è altro?», fece brusco lo scrittore. Senza intimidire la piccola staffetta: «Se non lo volete, lo riprendo». E se ne andò, per mangiarsi la frutta in piazza.
Si sale a Fiesole, dove Fallaci scrive il primo articolo per «l’Europeo», nel 1951, una storia bellissima: il funerale del comunista Nello Casini, negato dal vescovo ma realizzato dai compagni del partito bardati di cappa nera, rosari e crocifissi. «Un corteo religioso senza preti», come lo descrisse. C’è, poi, la piccola libreria del centro fiorentino in cui l’amore della vita, Alekos Panagulis, presentò le sue poesie negli anni Settanta. Il titolare Paolo Sacchi ricorda ancora le mille correzioni al testo greco, le sfuriate di Oriana con l’editore: «Sorrise solo il pomeriggio della presentazione. Se lo rigirò tra le mani, il libro, lo soppesò. E tutti quegli intellettuali di sinistra a guardarla rapiti».
Nel volume anche gli scontri con la città degli ultimi anni, già prima di aver scritto La
rabbia e l’orgoglio (Rizzoli, 2001): le polemiche sanguigne per la tenda con cui dei profughi somali occuparono piazza San Giovanni davanti al battistero, nel 2000; quelle per la «pensilina» — così ribattezzò la loggia dell’archistar giapponese Isozaki Arata per la nuova uscita degli Uffizi, opera per la cui realizzazione il ministero ha annunciato solo ad agosto scorso 12 milioni — o, ancora, le parole di fuoco per il Social forum, la manifestazione no global fiorentina del 2002.
«Sa, Dimitry, ho conosciuto uomini che con un dito potevano cambiare le sorti del mondo ma, devo dirglielo, nessuno riesce a trasmettere tanti bei sentimenti come lei con le sue mani», dice al fisioterapista di Villa Santa Chiara poco prima di morire. Per aggiungere, appuntita fino alla fine: «Ma ha un difetto. Il suo nome, dico. Vuol dire che i suoi genitori sono comunisti».
Infine, l’ultimo viaggio, la Digos al portone della clinica, lo scarno corteo verso il cimitero degli Allori. «Non mi sono mai trovato a un funerale con così poca gente», ricorda Nencini. «Oriana si sentiva come Dante, esiliata. O peggio, come Farinata degli Uberti, ghibellino che risparmiò Firenze dalla distruzione, ma che poi venne addirittura riesumato per processarne il cadavere come eretico. Lei ne commentava la vicenda: “Ah, i fiorentini. E meno male che aveva salvato la città. Pensa te se avesse buttato giù un campanile”».
Come un romanzo
Oriana a 14 anni era staffetta partigiana nei luoghi della «ragazza di Bube» di Cassola