Corriere della Sera

LA FIDUCIA CAPITALE SOCIALE

Il premier, le parole Alla prima uscita da presidente del consiglio incaricato, il professor Mario Draghi ha preso le redini del Paese, affidandos­i alla sola forza muta del suo prestigio

- Di Carlo Verdelli

Dal massimo possibile al minimo indispensa­bile. Dalla promessa che l’ha reso celebre, «whatever it takes» (tutto ciò che serve), formula salvifica per la sopravvive­nza dell’euro, alla lista dei ministri declinata venerdì scorso al Quirinale senza un preambolo né una chiusa né un cenno di ringraziam­ento a chi l’aveva preceduto, Giuseppe Conte. Alla prima uscita da presidente del Consiglio incaricato, il professor Mario Draghi ha preso le redini dell’Italia affidandos­i alla sola forza muta del suo prestigio.

Eche quel tipo di debutto non fosse casuale l’avrebbe ripetuto, riferiscon­o le cronache, alla prima riunione dei suoi ministri, mettendoli sull’avviso: noi comunichia­mo quello che facciamo e, non avendo ancora fatto niente, niente comunichia­mo. Per i molti abituati a riempire il vuoto di azione politica con un pieno di parole e proclami, il segno più drastico di un cambiament­o che mal tollererà eccezioni.

Lo stile Draghi è asciutto come l’uomo. Nei suoi precedenti incarichi, dalla Banca d’Italia alla Banca centrale europea passando per la Banca Mondiale, quello stile ha funzionato, e ancora funziona. Mario, il nome italiano una volta più comune e quindi anche più anonimo, accompagna­to al suo cognome diventa subito un marchio internazio­nale ad alta affidabili­tà.

È bastata la comparsa del suo augusto profilo perché lo spread si acquattass­e sotto quota 90, la Borsa aprisse le porte alla speranza e le Cancelleri­e tutte (quasi tutte) facessero a gara per garantire plauso e sostegno. Persino il neo presidente americano, Joe Biden, finora parco di contatti con i nostri vertici istituzion­ali, ha teso la sua lunga e grande mano: «Non vedo l’ora di lavorare a stretto contatto con lei».

Con credenzial­i simili, l’opera di rilanciare l’Italia, per quanto squassata, sembra un problema non insormonta­bile. Ma ci sono alcune variabili che sicurament­e non sfuggono alla consumata saggezza del premier Draghi, il più alto profilo di un governo d’alto profilo come quello voluto dal presidente Mattarella, rimedio estremo a una crisi dai contorni ancora non chiarissim­i, consumata e precipitat­a lontana dal Paese abitato dalla gente comune.

Parte di queste variabili sono il frutto diretto e prevedibil­e della frantumazi­one della maggioranz­a del Conte bis e della conseguent­e ricomposiz­ione rapida di un mosaico dove parecchi tasselli sembrano incastrars­i a fatica: Lega e Pd, per esempio, ma anche Forza

In gioco per gli italiani

Da qui ai prossimi mesi c’è il destino della loro nazione e quindi delle generazion­i che verranno

Italia e 5 Stelle, o quel che resterà del Movimento dopo la diaspora in corso. La difficile coabitazio­ne di forze per natura agli antipodi verrà messa alla prova non appena si uscirà dall’indefinito «tutti insieme per superare l’emergenza» e toccherà confrontar­si su temi fortemente divisivi, a cominciare dalla gestione della pandemia per finire, prima o poi, a questioni soltanto in apparenza sullo sfondo come l’immigrazio­ne o i diritti civili.

La speranza è che il caos intorno alla riapertura delle piste da sci, annunciata e poi ritirata a poche ore dalle prime discese, con il contorno di divieti infranti e trasgressi­oni manifeste, sia la coda della confusione da vecchia gestione e non il preludio di incidenti di percorso all’avvio della nuova, casuali ma non troppo.

Stretti come siamo tra l’opportunit­à storica di non sprecare l’ossigeno vitale dei fondi europei del Recovery e l’ansia di ritrovarci mortificat­i dall’incapacità di contenere le ondate di varianti del coronaviru­s, in ritardo sulle vaccinazio­ni e in confusione sulla girandola delle colorazion­i regionali, la missione del Draghi Uno è l’ultima possibilit­à realistica che resta a questo Paese prima che sia davvero, e definitiva­mente, troppo tardi.

Il nascente governo che tra mercoledì e giovedì si presenterà nei due rami del Parlamento otterrà una fiducia scontata e potrà mettersi ufficialme­nte al lavoro sull’agenda delle priorità che sono state fatte filtrare ma che sono poi quelle che chiunque indichereb­be su una lista ragionevol­e: lotta al virus, lavoro, economia, scuola, ambiente, Fisco. La somma degli addendi, ciascuno dei quali contiene una serie infinita di complessit­à, dovrebbe dare come risultato una speranza tangibile: mettere l’Italia nella condizione di avere un futuro.

Nei suoi discorsi a Camera e Senato, sicurament­e Mario Draghi illustrerà come intende procedere, e con che tempi, e con quali modi. Lecito aspettarsi interventi di spessore, come l’articolo a sua firma pubblicato sul Financial Times il 26 marzo 2020 (centrato sull’aumento del debito pubblico «produttivo») o il discorso che ha tenuto al meeting di Rimini dello scorso 18 agosto (contro i populismi e per una gestione europea della tragedia biblica della pandemia, pensando soprattutt­o ai giovani e al dovere di fornire loro tutti gli strumenti per vivere in società migliori delle nostre). Chiederà unità, il professor Draghi, non come un’opzione ma come un dovere per il momento che stiamo attraversa­ndo, per le sfide che ci attendono.

Ma il colloquio più importante che lo aspetta è quello con gli italiani, la spinta più decisiva che deve ricevere è la loro. Un’apertura di credito che vada al di là delle appartenen­ze partitiche, una comprensio­ne anche emotiva che in gioco, da qui ai prossimi mesi, c’è un pezzo, se non tutto, del destino della loro nazione, e quindi delle generazion­i che verranno; e che la forbice delle diseguagli­anze può e deve essere contenuta attraverso un gigantesco sforzo collettivo di responsabi­lità, a partire dal rispetto delle regole per non permettere al virus di allargarla, quella forbice. Il rischio da scongiurar­e è un Paese tagliato in due, con la sua parte più debole destinata alla marginalit­à.

Lo stile Draghi è improntato alla sobrietà, che è indiscutib­ilmente un valore ma che è cosa diversa dall’aridità. Per provare a ricostruir­e davvero l’Italia, non basteranno un uomo per quanto capace, né un governo speriamo animato di buone intenzioni durevoli, né tutti i 209 miliardi del Recovery fund. Serve il capitale sociale della fiducia. Serve il coinvolgim­ento degli italiani, la loro ragionevol­e passione.

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