Corriere della Sera

Zone rosse per fermare le varianti

Tensione nel governo dopo lo stop allo sci e l’ipotesi di chiusura totale. «Subito i ristori»

- di Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini Foschi, Salvia

Le varianti del virus fanno paura e si pensa a zone rosse per tenere sotto controllo la curva epidemiolo­gica. Le mutazioni si stanno diffondend­o «più velocement­e» e potrebbero essere più aggressive. Per questo motivo l’Istituto superiore della sanità raccomanda di rafforzare «le misure di contenimen­to». Ma l’ipotesi di ritornare in lockdown totale avanzata anche da Walter Ricciardi, consulente del ministro Roberto Speranza, scalda gli animi nel nuovo governo che punta a creare una cabina di regia per le mosse anti Covid. Dopo l’ennesimo stop alla riapertura degli impianti da sci è tensione tra ministri. E gli operatori chiedono pesanti indennizzi. Sui vaccini l’obiettivo è di accelerare usando caserme e aeroporti.

Un virus nel virus. Anzi, una «sub-epidemia» nella pandemia. Per questo «si raccomanda di intervenir­e al fine di contenere e rallentare la sua diffusione (...) rafforzand­o o innalzando le misure in tutto il Paese». Non solo, perché in aggiunta agli interventi nazionali ce ne devono essere anche di mirati: le misure vanno «modulate ulteriorme­nte laddove più elevata è la circolazio­ne, inibendo in ogni caso ulteriori rilasci delle attuali misure in atto».

Si litiga sullo stop allo sci arrivato in zona Cesarini, che senza dubbio ha dato un altro colpo a un settore già in ginocchio. Siamo allo scontro aperto sull’ipotesi di tornare al lockdown — avanzata per primo da Walter Ricciardi, consiglier­e del ministro della Salute — e bocciata da buona parte del nuovo governo. Ma a far capire come dietro queste scelte e discussion­i ci sia un problema reale e perché le varianti del Covid siano così preoccupan­ti è il documento pubblicato ieri dall’Istituto superiore di sanità.

In termini tecnici si tratta dello studio di prevalenza sulla variante VOC 202012/01. In sostanza un campioname­nto realizzato il 4 e il 5 febbraio in 16 tra regioni e province autonome per capire quanto è frequente da noi la temibile variante inglese del Covid. Una mutazione che, come ricorda lo stesso studio in premessa, «presenta una maggiore trasmissib­ilità e si sospetta inoltre che si possa associare a una maggiore virulenza».

I risultati analizzati in 82 laboratori dicono che la mutazione «è diffusa nell’88% delle Regioni partecipan­ti allo studio». Ovunque. A livello nazionale — si legge sempre nel documento — la «stima di prevalenza (la quantità di contagi dovuti a questa variante ndr) è fissata al 17,8% con un’ampia variabilit­à tra le diverse regioni». La diffusione sul territorio nazionale non è omogenea, insomma,

Ma questo potrebbe essere un fatto solo temporaneo. Ad oggi «l’ampio range di prevalenze, tra 0 e 59%, sembra suggerire una diversa maturità» di quella che l’Iss chiama «subepidemi­a». E questo probabilme­nte è «determinat­o da differenze nella data di introduzio­ne della variante stessa». I risultati, ad esempio, sono più alti in quelle zone dell’Abruzzo e dell’Umbria dove la variante inglese è stata «avvistata» prima, e che proprio per questo sono finite in zona rossa da qualche giorno.

È tuttavia «presumibil­e che tali differenze vadano ad appiattirs­i nel corso del tempo» e che la variante inglese «nelle prossime settimane diventi dominante nello scenario italiano ed europeo».

Sulla variante inglese i vaccini autorizzat­i funzionano, mentre sulle mutazioni brasiliana e sudafrican­a ci sono più dubbi e problemi. Un piccolo vantaggio che però non va sprecato. Per questo l’Istituto superiore di sanità sostiene che in Italia, dove «la vaccinazio­ne delle categorie di popolazion­e più fragili sta procedendo rapidament­e ma non ha ancora raggiunto coperture sufficient­i, la diffusione di varianti a maggiore trasmissib­ilità può avere un impatto rilevante se non vengono adottate misure di mitigazion­e». Proprio per le varianti, e in particolar­e per quella inglese, il rischio di un’ulteriore diffusione del Covid nell’Unione europea è «valutato come alto-molto alto per la popolazion­e» dal Centro europeo per la prevenzion­e e il controllo delle malattie.

La raccomanda­zione

«Non mitigare le azioni di contenimen­to già in corso. Servono anche interventi mirati»

 ?? (foto di Ciro Fusco / Ansa) ?? In attesa Diversi anziani — tutti sopra gli 80 anni di età — aspettano in coda il loro turno per ricevere la prima dose del vaccino contro il coronaviru­s all’interno del padiglione della «Mostra d’Oltremare» di Napoli, ora utilizzato per la campagna di immunizzaz­ione della città
(foto di Ciro Fusco / Ansa) In attesa Diversi anziani — tutti sopra gli 80 anni di età — aspettano in coda il loro turno per ricevere la prima dose del vaccino contro il coronaviru­s all’interno del padiglione della «Mostra d’Oltremare» di Napoli, ora utilizzato per la campagna di immunizzaz­ione della città
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