Zone rosse per fermare le varianti
Tensione nel governo dopo lo stop allo sci e l’ipotesi di chiusura totale. «Subito i ristori»
Le varianti del virus fanno paura e si pensa a zone rosse per tenere sotto controllo la curva epidemiologica. Le mutazioni si stanno diffondendo «più velocemente» e potrebbero essere più aggressive. Per questo motivo l’Istituto superiore della sanità raccomanda di rafforzare «le misure di contenimento». Ma l’ipotesi di ritornare in lockdown totale avanzata anche da Walter Ricciardi, consulente del ministro Roberto Speranza, scalda gli animi nel nuovo governo che punta a creare una cabina di regia per le mosse anti Covid. Dopo l’ennesimo stop alla riapertura degli impianti da sci è tensione tra ministri. E gli operatori chiedono pesanti indennizzi. Sui vaccini l’obiettivo è di accelerare usando caserme e aeroporti.
Un virus nel virus. Anzi, una «sub-epidemia» nella pandemia. Per questo «si raccomanda di intervenire al fine di contenere e rallentare la sua diffusione (...) rafforzando o innalzando le misure in tutto il Paese». Non solo, perché in aggiunta agli interventi nazionali ce ne devono essere anche di mirati: le misure vanno «modulate ulteriormente laddove più elevata è la circolazione, inibendo in ogni caso ulteriori rilasci delle attuali misure in atto».
Si litiga sullo stop allo sci arrivato in zona Cesarini, che senza dubbio ha dato un altro colpo a un settore già in ginocchio. Siamo allo scontro aperto sull’ipotesi di tornare al lockdown — avanzata per primo da Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute — e bocciata da buona parte del nuovo governo. Ma a far capire come dietro queste scelte e discussioni ci sia un problema reale e perché le varianti del Covid siano così preoccupanti è il documento pubblicato ieri dall’Istituto superiore di sanità.
In termini tecnici si tratta dello studio di prevalenza sulla variante VOC 202012/01. In sostanza un campionamento realizzato il 4 e il 5 febbraio in 16 tra regioni e province autonome per capire quanto è frequente da noi la temibile variante inglese del Covid. Una mutazione che, come ricorda lo stesso studio in premessa, «presenta una maggiore trasmissibilità e si sospetta inoltre che si possa associare a una maggiore virulenza».
I risultati analizzati in 82 laboratori dicono che la mutazione «è diffusa nell’88% delle Regioni partecipanti allo studio». Ovunque. A livello nazionale — si legge sempre nel documento — la «stima di prevalenza (la quantità di contagi dovuti a questa variante ndr) è fissata al 17,8% con un’ampia variabilità tra le diverse regioni». La diffusione sul territorio nazionale non è omogenea, insomma,
Ma questo potrebbe essere un fatto solo temporaneo. Ad oggi «l’ampio range di prevalenze, tra 0 e 59%, sembra suggerire una diversa maturità» di quella che l’Iss chiama «subepidemia». E questo probabilmente è «determinato da differenze nella data di introduzione della variante stessa». I risultati, ad esempio, sono più alti in quelle zone dell’Abruzzo e dell’Umbria dove la variante inglese è stata «avvistata» prima, e che proprio per questo sono finite in zona rossa da qualche giorno.
È tuttavia «presumibile che tali differenze vadano ad appiattirsi nel corso del tempo» e che la variante inglese «nelle prossime settimane diventi dominante nello scenario italiano ed europeo».
Sulla variante inglese i vaccini autorizzati funzionano, mentre sulle mutazioni brasiliana e sudafricana ci sono più dubbi e problemi. Un piccolo vantaggio che però non va sprecato. Per questo l’Istituto superiore di sanità sostiene che in Italia, dove «la vaccinazione delle categorie di popolazione più fragili sta procedendo rapidamente ma non ha ancora raggiunto coperture sufficienti, la diffusione di varianti a maggiore trasmissibilità può avere un impatto rilevante se non vengono adottate misure di mitigazione». Proprio per le varianti, e in particolare per quella inglese, il rischio di un’ulteriore diffusione del Covid nell’Unione europea è «valutato come alto-molto alto per la popolazione» dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie.
La raccomandazione
«Non mitigare le azioni di contenimento già in corso. Servono anche interventi mirati»