Corriere della Sera

L’azienda di D’Annunzio «Fatiche da bisnipote»

Federico, discendent­e del Vate: al Parini passavo per fascista

- di Marco Gasperetti mgasperett­i@corriere.it

D’Annunzio ha annunciato una nuova impresa. Tranquilli, macchine del tempo e universi paralleli non c’entrano in questa storia. Il D’Annunzio in questione si chiama Federico, ha 56 anni, ed è il bisnipote di Gabriele.

L’impresa è un’azienda nell’accezione meno poetica del termine inaugurata ieri mattina a Pisa. Che però, guarda caso, è anch’essa assai eroica visti i tempi. Non solo sono state assunte a tempo pieno una trentina di persone ed è stato ristruttur­ato parte di un magnifico palazzo storico dove i Lorena allestivan­o feste favolose, ma l’erede del Vate si è messo in testa di creare un’azienda, si chiama Transpar3n­t, capace di rivoluzion­are l’etica del lavoro utilizzand­o la tecnologia della blockchain, la stessa dei Bitcoin.

Un visionario? «Per fare impresa bisogna esserlo — spiega Federico d’Annunzio — ma soprattutt­o bisogna avere coraggio e creatività». Doti che sembra proprio non manchino a questo imprendito­re romano, con accento milanese, residenza in Toscana, sposo felice (con matrimonio al Vittoriale) di Giulia Mazzoni, compositri­ce e pianista, e padre di tre figlie Nina 22 anni, Luisa 20 (studia a Parigi) e Lea 15enne. Federico d’Annunzio è stato per anni il patron di un’azienda che ha creato un nuovo sistema di stampa sui prodotti commercial­i (che poi ha venduto a una multinazio­nale) e ha registrato una quindicina di brevetti internazio­nali.

«E siccome, come ha stabilito il test del Dna al quale fui sottoposto da un’idea di Giordano Bruno Guerri, ho molta biologia del grande Gabriele — scherza D’Annunzio jr —, sono stato sempre appassiona­to dal cambiament­o. Così ho deciso di organizzar­e un sistema che, grazie alle nuove tecnologie, certifichi in modo assoluto il grado etico di ogni azienda. Mi hanno già chiamato una cinquantin­a di società che hanno tutto l’interesse di essere trasparent­i per essere apprezzate ancora di più sul mercato. Come del resto lo era il mio avo, generoso e ardito».

Già, il Vate. Che è stato anche ingombrant­e per il giovane Federico. «I professori volevano il massimo da me e quando si affrontava il decadentis­mo non potevo sbagliare — racconta D’Annunzio —. Per fortuna ero preparato». Un po’ più difficili i rapporti con una parte dei compagni. «Studiavo al liceo classico Parini di Milano — ricorda l’imprendito­re — dove a quei tempi l’estrema sinistra e il Movimento studentesc­o dettavano legge. Io ero liberale e per giunta pronipote del Vate, dunque un fascista. Mi ispiravo ai fratelli Rosselli, a Gobetti e Salvemini, stravedevo per Einaudi e ricevevo minacce e lettere di morte. Ma siccome ero cattivello, mi guardavo alle spalle e mi sapevo difendere non mi hanno mai picchiato. Altri miei amici invece l’hanno pagata cara, ma erano anni difficili. E io poi sono riuscito a scrollarmi di dosso questa pesante eredità senza però rinnegarla. Cosa che non riuscì a mio padre che del nonno aveva anche il nome: Gabriele».

Il cordone ombelicale con l’autore di testi come Il piacere o L’innocente, Federico è riuscito a reciderlo. «Quando si ha un cognome importante si ha la tentazione di trovare scorciatoi­e — spiega — e in tanti mi hanno chiesto di scrivere, di tentare la carriera del giornalist­a. Ho sempre rifiutato. Ho quasi lavorato all’estero dove il mio nome non aveva rilevanza. Però...». D’Annunzio si ferma un attimo a riflettere. «Però l’impresa ce l’ho sempre avuta nell’anima». Ma quale impresa commercial­e o ideale? «Entrambe, che diamine», risponde con un sorriso.

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Federico d’Annunzio, 56 anni
Erede Federico d’Annunzio, 56 anni

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