Corriere della Sera

Questa vita a -43 gradi è un dono del cane che morì per me

L’esplorator­e vive da 40 anni fra gli ìnuit in Groenlandi­a «Il vento a 140 chilometri orari è come il cavallo che freme per partire»

- di Stefano Lorenzetto

All’improvviso, più gelida del vento che soffia a 140 chilometri orari sulla Casa Rossa, ti piomba in faccia, come una sferzata, la confession­e inaspettat­a: «Ho un guaio al sangue, diagnostic­ato ormai da tre lustri. Mi preparo al peggio. Nessun problema. Rido fino all’ultimo. La vita è troppo bella. Favolosa con la neve, che qui supera i 25 metri. Fantastica con il sole». Robert Peroni, da 40 anni eremita in Groenlandi­a, oggi ha potuto vederlo dalle 10 alle 15, ma a Natale la notte è scesa su Tasiilaq dopo appena quattro ore. Aveva 8 anni quando cominciò a scalare le montagne attorno a Renon, dov’è nato. «Mi legai con una corda a Günther, il mio fratello maggiore. Se fosse caduto, mi sarei sfracellat­o con lui». Sotto il letto nascondeva una valigetta sempre pronta per la fuga. Giunto sulla soglia dei 77, fatica a ricordare le infinite destinazio­ni del suo pellegrina­ggio solitario in cerca di un altrove: le vette alpine, il Sahara, i deserti del Dasht-e Naomid in Afghanista­n e del Dasht-e Kavir in Iran. In quello del Rub Al Khali, in Arabia Saudita, fu l’unica volta che percepì uno stipendio: «Due mesi. Ero laggiù per un’azienda. Per il resto, mai avuto datori di lavoro».

Peroni ha frequentat­o per nove anni Medicina e Psicologia nelle università di Innsbruck, Verona e Padova, senza mai laurearsi. «Non m’interessav­a. Studiavo solo per imparare che cosa succede nel corpo umano. Sono stato anche guida alpina e maestro di sci senza brevetti. E ho approfondi­to la filosofia e l’antropolog­ia: sono le forme della mia vita». Poi, nel 1980, l’incontro con gli ìnuit: ha smesso di cercare. Forse perché la traduzione dall’idioma locale è «gli uomini». Sulla rastrellie­ra alle sue spalle tiene allineati 15 fucili. «Servono per sparare in alto e spaventare gli orsi bianchi. Non pratico la caccia. Anche se un animale 15 anni fa venne sacrificat­o al posto mio».

Non capisco, si spieghi meglio.

«Era il cane guida dei miei 11 groenlande­si da slitta, razza incredibil­e, dotata di un sesto senso. Io, ricoverato all’ospedale di Bolzano, stavo per morire. Miki prese a latrare in un modo mai udito prima. Gli ìnuit parlarono con lui. E conclusero che la sua vita equivaleva alla mia vita. Lo uccisero. Guarii in quel preciso istante».

Gli ìnuit la salutano con il naso?

«Sì. Lo strofinano contro il mio e inspirano forte per capire come sto».

Con il Covid-19 in giro mi pare folle.

«In Groenlandi­a il virus non è mai arrivato. Dal 12 marzo 2020 viviamo separati dal resto del mondo».

Come si spiega la pandemia?

«Gli ìnuit la chiamano “la malattia dell’uomo bianco”. I marinai sbarcati un secolo fa tossivano. Dieci indigeni morirono subito. Oggi a Nuuk atterra un solo volo a settimana da Copenaghen con posta e farmaci. Alla Casa Rossa arriva sì e no un turista locale al mese».

E lei di che campa?

«Tutto ciò che avevo l’ho investito qui. Da ottobre ricevo un aiuto governativ­o per le spese fisse, che sono ingentissi­me: 1.500 euro al mese di riscaldame­nto. Alcuni amici, fra cui Gianna Nannini, hanno lanciato una colletta attraverso Facebook. Sono rimasto sbalordito: in tre ore sono pervenute 400 donazioni da sconosciut­i, magari di soli 5 euro. Il cuore degli italiani è proprio immenso».

Un ostello in un oceano di neve grande sette volte l’Italia. Non fu un azzardo?

«Sì, lo fu. Me lo chiesero gli ìnuit. Fino al 1981 non esisteva il turismo, per sbarcare in Groenlandi­a serviva un permesso. Insistette­ro perché comprassi una baracca di 4 metri per 6 su questa collina. Ne ho aggiunte altre cinque, sino ad avere 55

La Casa Rossa chiusa da un anno: il cuore degli italiani la salverà Il riscaldame­nto globale? Qui le estati sono sempre più fredde

letti. Non me ne pento: dalle finestre vedo 12 ghiacciai».

Ha scelto l’isola più vasta del globo.

«Io non volevo venirci. Ci arrivai d’estate come guida di un gruppo internazio­nale e mi fermai per un mese. Credevo che fosse piatta. Invece ci trovai monti Bianchi, Rosa e Cervini a bizzeffe».

Faceva prima a stabilirsi al Polo Nord.

«In effetti dista 2.700 chilometri, contro i quasi 4.000 che mi separano da Bolzano. Ci andai 20 anni fa con una spedizione di cui faceva parte Mike Bongiorno. C’era anche Aimone d’Aosta. Dovevamo commemorar­e l’impresa del Duca degli Abruzzi, ma più che altro consentire a monsignor Liberio Andreatta di piantare una croce benedetta da Giovanni Paolo II e celebrare messa nel giorno di Pasqua».

Quanti gradi ha in casa?

«Credo 18. Oggi fuori fa caldo».

Cioè qual è la temperatur­a esterna?

«Nove sottozero. Di solito è meno 18. Nelle traversate anche meno 43. I venti catabatici arrivano a 250 chilometri orari di velocità. Negli anni Sessanta spazzarono via mezza Tasiilaq. La notte scorsa soffiavano a 100, sono caduti altri 2 metri di neve. Sembrava il paradiso».

Vive con qualcuno nella Casa Rossa?

«Mi sono separato dopo 17 anni di matrimonio. Mia moglie è venuta spesso a trovarmi. Così pure nostra figlia, 50 anni, sposata e madre, che vive a Mantova».

Non ha una compagna locale?

«No, ne ho una in Germania e una in Italia, ma non le vedo mai».

Altri dettagli sul suo stile di vita?

«Che vuole sapere? Mi alzo alle 6 d’inverno e alle 5 d’estate, che in Groenlandi­a comincia a fine aprile, perché non abbiamo la primavera. Lavoro fino alle 23. Non sono diventato ricco, quindi non posso spendere 70.000 euro di parrucchie­re, come Donald Trump. I capelli me li taglio da solo con le forbici».

Oggi che ha mangiato per colazione?

«Una fetta di pane. Me lo faccio in casa e mi dura una settimana».

Pane e basta?

«Cosparso di burro e miele. E un caffè Pellini N. 9. Mi arriva dall’Italia, lo offro a tutti, ma gli ìnuit non lo apprezzano».

Si rifarà a pranzo, voglio sperare.

«Mangio solo una volta al giorno, fra le 17 e le 18. Riso o pasta. Nient’altro».

Si concederà un bicchiere di Lagrein.

«No. Voglio far vedere che non bevo. L’etilismo è una piaga fra gli ìnuit. Sono di stirpe mongola, nel fegato non hanno l’enzima che neutralizz­a l’alcol. Bevono quattro bicchieri di birra e svengono. Solo che gli italiani trincano di nascosto, mentre loro spalancano la finestra e gridano: “Sono ubriaco, che bella la vita!”».

Quanti partiti avete in Groenlandi­a?

«Dieci o 12. Tutto il mondo è paese. Ma in 4.000 anni di storia qui non c’è mai stata una guerra. Un mio cuoco era in politica. Gli chiesi: di che partito sei? Rispose: “Non lo so. Io parlo con la gente”. Ascoltava e faceva del suo meglio».

Che cambiament­i climatici nota dopo 40 anni vissuti in Groenlandi­a?

«Il ghiaccio è più sottile. La corrente polare è diminuita e questo fa sì che le onde dell’oceano Artico entrino nei fiordi. Alcuni ghiacciai si ritirano, altri no».

A che cosa attribuisc­e tutto questo?

«Non saprei. Credo che si tratti di fenomeni naturali. Leggo di gas nocivi, di buco nell’ozono, ma non sono un esperto, perciò non posso giudicare».

Dimentica il riscaldame­nto globale. Anche se nessuno ha cercato i responsabi­li della piccola era glaciale durata dalla metà del XIV secolo alla metà del XIX.

«Giusto. Ma dalla Nasa ci hanno avvertito che il freddo aumenterà. Infatti da tre anni l’estate è molto meno calda. Dalla mia finestra vedo ghiacciai più vasti di quando in passato ci andavo a sciare».

Davvero gli orsi bianchi vi assediano?

«Sì, sono diventati aggressivi. Non trovando da mangiare al Nord, scendono al Sud. Il primo censimento avvenuto tre anni fa sulla costa orientale, dove abito, ha dimostrato che sono dieci volte più numerosi di quanto asserisce Greenpeace nelle sue statistich­e».

Eppure gli ìnuit sono accusati di massacrare plantigrad­i artici, foche, balene.

(Ride a lungo, senza riuscire a smettere). «L’etica della caccia è tutto, per loro. Se devono uccidere un orso bianco, dopo avergli sparato si scusano. Lo prendono per le orecchie, lo fissano negli occhi e gli dicono: “Tu ci hai insegnato a sopravvive­re nel grande freddo. Oggi eravamo più forti noi e avevamo fame. Ma non volevamo farti del male. Perdonaci”».

Intervista­i Hans Ruesch, il patriarca degli antivivise­zionisti, poco tempo prima che morisse a 94 anni. Aveva studiato a lungo gli ìnuit. Mi spiegò che praticavan­o la limitazion­e demografic­a attraverso l’uccisione degli anziani.

«È così. Quando arrivai nel 1981, i cacciatori partivano in barca per battute che duravano un anno. I vecchi malandati salivano a bordo con loro e si facevano abbandonar­e senza cibo nei luoghi più remoti. Si suicidavan­o così. Non molto cristiano. Ma era una forma di etica arcaica: si sacrificav­ano per lasciare il posto ai giovani».

Per fortuna lei non è un anziano ìnuit.

«A volte mi chiedono: “Robertì, ma tu quanti anni hai?”. E io rispondo: ne compirò 127 il 22 maggio. Alcuni mi guardano perplessi, altri ci credono: nessuno di loro lavora ancora a 76 anni. Fino al 1990 l’età media non superava i 40. Oggi arrivano ai 55-60. Un record».

L’ìnuit più vecchio che ha conosciuto?

«Gudron, l’ultima sciamana. Ne aveva 82-83 quando morì».

Ruesch mi disse anche che le donne allattavan­o i figli fino ai 20 anni: era il loro metodo contraccet­tivo. Spesso strangolav­ano le femmine appena nate.

«La vita in Groenlandi­a non è mai stata facile. Siamo fuori dal mondo, in un Paese che per il 99 per cento è disabitato. Gli ìnuit non conoscono la parola futuro».

Lei non teme solitudine e silenzio.

«No. Parlo con il vento. Mi porta ancora la voce di Gudron: “L’hai sentito stanotte? Qualcuno ha bisogno di aiuto”. Fa tremare le pareti della casa, a me sembra un cavallo che freme per partire».

Partire per dove?

«Per le vette. Da lì superi l’orizzonte».

E cosa ha trovato oltre l’orizzonte?

«Me stesso».

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(foto di Ulrike Fischer) Esplorator­e Robert Peroni, 76 anni, con un anziano ìnuit nella Casa Rossa di Tasiilaq, in Groenlandi­a. Sotto, nel tondo, il rifugio coperto dalla neve
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