ERITREA, LIBIA, ETIOPIA TRE
STORIE COLONIALI
Caro Aldo, ho avuta la fortuna di avere come maestro elementare, un ex ufficiale dell’aviazione militare, con esperienza nelle colonie d’Africa: Etiopia, Libia, Somalia ed Eritrea. Ovvio che la mia formazione è stata contagiata dai suoi racconti. I miei ricordi son ancora nitidi, una grande carta geografica con l’Europa e l’Africa in grande rilievo, Mi rappresentavano una situazione molto particolare dove gli occupanti erano percepiti con un certo favore e l’integrazione col tessuto sociale del luogo metteva in luce comportamenti docili e collaborativi. Per non parlare degli ascari inquadrati come militari e descritti come valorosi e leali. Ecco ora le chiedo se queste mie percezioni avevano un fondamento o se erano solo frutto di suggestioni. Caro Luciano,
Distinguerei tra le varie esperienze coloniali che lei ricorda. L’Eritrea è uno Stato «inventato» dagli italiani, sin dal nome (che in greco significa «rosso», come il mare su cui si affaccia). I legami con il popolo eritreo sono antichi, e la dedizione degli ascari ne è un segno. Anche la Libia — nome greco dell’Africa — è uno Stato che gli italiani assemblarono mettendo insieme due province dell’impero ottomano, la Tripolitania e la Cirenaica, strappate ai turchi (insieme con le isole del Dodecaneso) con una guerra. L’occupazione italiana ne sostituì un’altra. Non fummo accolti con simpatia: tra i motivi per cui Giolitti era contrario all’intervento dell’Italia nella Prima guerra mondiale, c’era il fatto che da presidente del Consiglio aveva accesso diretto ai dati sul difficile conflitto che oppose le nostre truppe e la resistenza locale. Con la Grande Guerra l’Italia perse il controllo dell’interno, e lo riconquistò a prezzo di repressioni e campi di concentramento. Peggio ancora andò in Etiopia, con una guerra di aggressione voluta dal regime fascista e combattuta anche con i gas, e le stragi seguite all’attentato a Graziani, compreso il massacro dei monaci cristiani di Debra Libanos, una delle pagine più nere della nostra storia: indegna di un popolo che ha espresso, più che condottieri vittoriosi, martiri capaci di sacrificarsi — nel Risorgimento, con l’irredentismo, nella Resistenza — senza maledire i carnefici, anzi esprimendo amore per la patria e per l’umanità.
Ovviamente dobbiamo salvare la memoria di migliaia di italiani che spesero il loro lavoro e le loro vite nelle colonie, costruendo strade, scuole, ospedali che sono rimasti.