«I mille miliardi non incassati? Si controllino tutti i debitori»
Il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, sollecita da tempo un intervento legislativo da parte del Parlamento per risolvere l’annosa questione degli «stock arretrati», ovvero quel magazzino di cartelle esattoriali riferite a crediti ancora da incassare: oltre 1.000 miliardi, accumulati in 20 anni, dovuti in gran parte a soggetti nullatenenti o società fallite che non sono in grado di sostenere la riscossione coattiva, nemmeno sostenendo piani di rateizzazione ordinari o misure straordinarie come la definizione agevolata (detta rottamazione) o l’eventuale «saldo&stralcio». Sono «liste di inesigibilità»: quando cioè la macchina dell’esecuzione forzata dimostra che ha tentato tutte le strade per recuperare il credito: invio atti, azioni cautelari, pignoramento stragiudiziale conti correnti, esproprio del quinto su stipendi o pensioni o fatture verso terzi, pignoramento dei fitti, pignoramenti mobiliari o immobiliari. Per risolvere una volta per tutte la questione c’è un’unica possibilità. Tentate tutte le strade di cui sopra, risolta la pausa pandemia, vanno inviati gli Ufficiali di riscossione (abilitati con concorso pubblico presso l’Agenzia delle Entrate, con un mandato della Prefettura) per redigere per ogni contribuente il verbale di pignoramento negativo o insufficiente ai sensi dell’art. 518 del codice di procedura civile. Dovranno essere affiancati dalla Guardia di Finanza, che avrà il compito di verificare che i nullatenenti non hanno altre entrate (lavoro in nero, eredità, vincite al gioco) e che le società cessate o fallite non siano offshore. Questi verbali certificheranno insomma la veridicità delle liste di inesigibilità. Fuori da questa procedura c’è solo imparzialità di giudizio e corruzione.