Transizione verde ed energia pulita, le deleghe di Cingolani tra 4 ministeri
Come sarà strutturato, in concreto, il ministero della «Transizione ecologica» affidato all’ex Iit (Istituto italiano di tecnologia) e Leonardo Roberto Cingolani, che nasce sulla base del ministero dell’Ambiente? L’operazione ha una sua rilevanza, perché non si esaurirà in un semplice cambio di denominazione.
I passaggi in vista potrebbero comportare l’assorbimento delle competenze in materia energetica di altri ministeri. In particolare quelle dello Sviluppo di Giancarlo Giorgetti, ma non solo. In più Cingolani dovrà presiedere un nuovo Comitato Interministeriale (proprio per la transizione ecologica) che si aggiungerà e che si potrebbe sovrapporre ad altri comitati dalla lunga storia. Su tutti il Cipe (il Comitato interministeriale per la programmazione economica, il suo esordio fu nel 1967) che proprio dal primo gennaio del 2021 è già cambiato diventando Cipess. Con le due ultime lettere che stanno a significare «sviluppo sostenibile».
Uno dei primi problemi da affrontare, oltre a quello prioritario dell’indirizzo e della «filosofia» del nuovo ministero (questione cruciale) sarà quindi quello delle possibili sovrapposizioni, duplicazioni e incroci di funzioni e personale direttivo. Il ministero dell’Ambiente attuale ha un’organizzazione che già prevede un Dipartimento per la transizione ecologica e gli investimenti verdi, a cui fanno capo quattro direzioni generali: economia circolare; clima, energia e aria; crescita sostenibile; risanamento ambientale. Ognuna di esse ha una sua struttura e altrettanti direttori. Al Mise, sul fronte dell’energia, le direzioni generali «pesanti» sono sostanzialmente due: la prima per l’approvvigionamento, l’efficienza e la competitività energetica e la seconda su infrastrutture e sicurezza, affidate a grand commis di lungo corso e grande esperienza come Sara Romano e Gilberto Dialuce.
È verosimile, secondo le prime congetture, che dopo la ridefinizione dei perimetri interni il punto di partenza del nuovo ministero di Cingolani sarà proprio costituito da un nucleo duro ambiente-sviluppo. Ma altre competenze importanti sul fronte della «transizione ecologica» sono diffuse in altri ministeri. Nelle Infrastrutture e trasporti si gestiscono tra l’altro gli incentivi alla mobilità per gli autotrasportatori e nell’Agricoltura quelle per i biocombustibili. Questioni da affrontare, anche se la manovra di riassetto dovrà comunque essere rapida: l’attesa è per un primo decreto in arrivo nei prossimi dieci giorni.
La posta in gioco, con il nuovo ministero «con portafoglio», è elevata, visto che alla transizione ecologica — un asse trasversale rispetto a tutto il complesso del Pnrr presentato dal governo Conte il 12 gennaio scorso — dovrebbe essere destinato almeno il 37% delle risorse complessive. Ad oggi nel piano si prevedono 68,9 miliardi di fondi sui 222,9 miliardi complessivi (il 31% del totale), di cui 38-39 miliardi «nuovi». Il 70% di quella somma dovrà oltretutto essere impegnato entro il 2022 e speso entro il 2023.
Ma bisognerà soprattutto verificare se i capitoli di spesa «green» inseriti nel Pnrr del Conte-bis saranno mantenuti o rivisti. Le critiche non sono mancate, relative sia alla modesta visione «strategica» complessiva sia all’eccessivo peso sulla riqualificazione immobiliare (29,35 miliardi) e, tra le altre cose, alla discussa questione idrogeno. Il lavoro, a Cingolani e ai suoi, non mancherà di certo.