Il discorso di Draghi e le regole d’ingaggio per evitare gli scontri nella maggioranza
Nel discorso in Senato Recovery plan, vaccini, fisco, lavoro e scuola Il premier e i limiti alle forze politiche per tutelare il governo
Oggi il premier Mario Draghi in Senato per la fiducia esporrà le linee guida del governo. Dalle emergenze in corso, piano vaccinale, Recovery plan, interventi sul fisco, lavoro e scuola, ai problemi strutturali del Paese. Resta da capire quali parole spenderà nei riguardi dei partiti di maggioranza, quali saranno le regole d’ingaggio in Parlamento e in Consiglio dei ministri.
Il piano vaccinale, il Recovery plan, gli interventi sul fisco, sul lavoro e sulla scuola: stamattina Mario Draghi esporrà al Senato le linee guida dell’azione di governo con cui si propone di accompagnare il Paese fuori dalla «crisi multidimensionale» provocata dal Covid-19. Sarà questo il suo compito.
Ma il presidente del Consiglio nel suo discorso per la fiducia non si fermerà ai problemi dettati dalla contingenza, svolgerà anche un’analisi sulle debolezze strutturali dell’Italia che precedevano la pandemia. Perché l’esame dei dati, svolto in questi giorni, gli ha offerto una rappresentazione più dettagliata e cruda della condizione nazionale.
D’altronde il suo governo non è un governo come gli altri: l’incarico che gli ha affidato il presidente della Repubblica, la larga maggioranza che ha raccolto l’appello, danno il senso del dramma e dell’urgenza. Perciò Draghi concentrerà l’attenzione sui temi evidenziati al momento di assumere l’incarico e ribaditi ai partiti alle consultazioni, durante le quali ha sottolineato anche il profilo «europeista e atlantista» del suo esecutivo. Se il cuore dell’intervento del premier sarà questo, resta da capire quali parole spenderà nei riguardi dei partiti della larga maggioranza, quali saranno le regole d’ingaggio in Parlamento come in Consiglio dei ministri.
Perché i primi giorni di governo, quelli che hanno preceduto il suo arrivo alle Camere, hanno evidenziato problemi di rodaggio e una certa sconnessione rispetto agli input di Draghi: dal modo in cui il ministero della Salute ha gestito il «caso sci», alla conferenza stampa del ministro del Turismo che ha parlato quasi fosse un rappresentante dell’opposizione, fino alla convocazione delle parti sociali del ministro del Lavoro quando ancora l’esecutivo non aveva ricevuto la fiducia. Fotogrammi che messi insieme sembravano la coda del recente passato. Un passato al quale Draghi dovrà m ettere u n punto.
Per certi versi un primo passo è stato fatto: l’incontro tra Matteo Salvini e Nicola Zingaretti è stata la risposta dei partiti alla richiesta del presidente del Consiglio di fissare una «moratoria» tra forze alternative e momentaneamente alleate. Ma è chiaro che un gesto non può bastare, visto l’attivismo del leader della Lega e le parole pronunciate ieri dal segretario del Pd: «Collaboriamo ma non è pensabile che i partiti si annullino». E allora il problema non sarà tanto verificare quanto durerà la «luna di
miele» di Draghi con il Paese ma quanto reggerà la convivenza di partiti in competizione tra loro con il premier che hanno accettato di sostenere.
Reggere il peso non sarà facile, viste le scadenza. Perché le Amministrative di primavera saranno un test politico, siccome nelle urne si sceglieranno i sindaci delle maggiori città italiane. E come spiegava nei giorni scorsi un autorevole ministro, «un conto è se la sfida tra centrodestra e centrosinistra finisse sostanzialmente pari. Altra cosa sarebbe se il risultato fosse sbilanciato da una parte. A quel punto come reagirebbe l’altra parte? Di sicuro avrebbe effetti sul governo, in Parlamento...».
Toccherà oggi al premier, nel giorno in cui riceverà la fiducia, far capire se e fino a che punto potrà assecondare le esigenze dei partiti e quale limite invece metterà per tutelare l’azione del suo esecutivo e il mandato ricevuto. Perché ieri, alla vigilia dell’ingresso di Draghi a Palazzo Madama, le forze politiche hanno continuato la loro battaglia di posizionamento. A volte con azioni all’apparenza estemporanee. A un certo punto, come fulmine a ciel sereno, è stata infatti annunciata la nascita di un intergruppo tra Pd, Cinque Stelle e Leu. Solo al Senato, ma non alla Camera. Tanto però è bastato a Giuseppe Conte per riapparire e benedire l’operazione, manco fosse la nascita di un rassemblement. In realtà questo annuncio doveva servire per tamponare l’emorragia di grillini che non vogliono votare la fiducia.
Draghi segue le dinamiche della maggioranza e dirigenti di primo piano del Movimento 5 Stelle gli hanno garantito che dovrebbero riuscire a contenere il dissenso interno a una decina di senatori e altrettanti deputati. Ma proprio questi dettagli mettono in apprensione quanti puntano sulla riuscita dell’esecutivo. «Perché oggi il governo è Draghi. Punto», dice un notabile del Partito democratico: «Il rischio è che i partiti, politicamente malati, afferrino il vivo per le gambe».