I venti irriducibili pronti a votare no
Oltre ai contrari, più di venti eletti valutano se uscire dall’Aula Ci sarebbe anche Catalfo. La telefonata tra il garante e Di Maio
Il dissenso interno ai Cinque Stelle dovrebbe uscire ridimensionato. A poche ore dal voto in Aula, il fronte del no si riduce a una decina di senatori e altrettanti deputati (o poco più).
Due riunioni separate, distinte, per non irritare i senatori che in questi giorni hanno fatto pressione per non vedere la loro voce annacquata in una assemblea congiunta. E molte, moltissime telefonate (quelle verso gli incerti sul voto fiducia a Draghi e quelle tra i big del Movimento per monitorare la situazione). Alla fine, però, il dissenso interno ai 5 Stelle in Aula dovrebbe uscire ridimensionato.
A poche ore dal voto, il fronte del no si riduce — secondo le indiscrezioni — a una decina di senatori e altrettanti deputati (o poco più). Molti ancora gli incerti, ma è probabile che una buona parte scelga di assentarsi al momento del voto evitando una spaccatura dalle conseguenze ancora imprevedibili.
La giornata inizia con Vito Crimi che ribadisce la linea M5S e al Fattoquotidiano.it dichiara: «L’astensione? Non c’è un punto di equilibrio, i nostri iscritti hanno votato una cosa molto chiara e a quella dobbiamo attenerci». Un no secco, quindi, a una mediazione. I pontieri del Movimento intanto lavorano sottotraccia per ridurre il dissenso e chiudere le porte alla scissione del gruppo. Beppe Grillo è in stretto contatto con i big, a partire da Luigi Di Maio. C’è stata una telefonata tra i due per rassicurarsi sulla tenuta dei 5 Stelle alla prova dell’Aula. Roberto Fico prova a gettare acqua sul fuoco: «Qui non stiamo facendo nessuna alleanza con Forza Italia o con la Lega, proprio nessuna. E non abbiamo firmato cambiali in bianco. Non è una
L’assemblea Crimi ribadisce la linea dura: ogni voto diverso dal sì sarà considerato in dissenso dal gruppo
questione di alleanze, ma di capire qual è oggi l’interesse pubblico». I vertici si dicono «fiduciosi che i no saranno una ventina in tutto».
Tra gli indecisi (che sono ancora dieci al Senato e quindici — qualcuno dice anche venti — alla Camera), però, ci potrebbe essere qualche nome di peso. C’è chi sostiene che tra gli incerti ci possa essere anche la ministra del Lavoro uscente, Nunzia Catalfo. Voci non confermate, anche se la senatrice, «madre» del reddito di cittadinanza, è da giorni chiusa nel riserbo.
Ma il dibattito nel Movimento rischia di allargarsi anche alle alleanze del futuro, proprio nel giorno della nascita dell’intergruppo con Pd e Leu. «Il M5S rimanga postideologico — dice Riccardo Fraccaro —. A maggior ragione in un governo che godrà di una così ampia e variegata maggioranza è imperativo rimanere ancorati ai nostri temi piuttosto che affidarsi ad alleanze a prescindere».
«Il Draghi Day» sarà in ogni caso una giornata storica per il Movimento: è atteso infatti l’esito della votazione su Rousseau che dovrebbe dare il via libera alla nascita dell’organo collegiale. All’ora di pranzo saranno resi noti i risultati e c’è già chi pensa alla campagna elettorale interna che verrà. In teoria, sostengono i ben informati, si dovrebbe votare per scegliere i componenti intorno a metà marzo, ma il pallino è in mano a Crimi. E c’è chi ironizza: «A metà marzo sì, ma di che anno?». Altri elementi che di sicuro non servono a rendere il clima distensivo all’interno del Movimento.
In serata, davanti ai parlamentari, Crimi ribadisce la linea dura: «Qualunque voto diverso dal sì sarà considerato in dissenso». Un aut aut per indurre qualche ripensamento dell’ultima ora. «Non sarà una fiducia in bianco ma vigileremo e combatteremo sulle cose che non andranno bene», dice Crimi. E prosegue con un paletto stavolta all’indirizzo dell’esecutivo: «I nostri risultati non devono essere messi in discussione: dalla giustizia alle politiche sociali, passando per l’ambiente».
Di fronte all’aut aut i no non arretrano: «Mancano i presupposti normativi per sbatterci fuori, non ci lasciamo intimidire».