Matteo Doppia Felpa
Salvini non è cambiato, è cambiato il salvinese. Oddio, nemmeno poi tanto: anche prima mandava «bacioni» a tutti quelli a cui intendeva urlare «vaffa». Però adesso ha trasformato la neolingua in una strategia politica. Il ministro Speranza, che nel governo Conte era «da cacciare», in quello Draghi è diventato «da aiutare». Come il detestato commissario Arcuri, a cui Salvini promette di «dare una mano sui vaccini». Andrà in giro con siringhe e fialette a battere i quartieri citofono per citofono? Non è chiaro in quali forme intenda manifestarsi questo soccorso leghista imposto quasi come una minaccia anche in materia di immigrazione alla ministra dell’Interno e persino a Draghi, invitato a tenere «un atteggiamento europeista», che sarebbe come esortare Mina a essere intonata. Oltretutto da parte di uno che subito dopo si è precipitato in tv a dire che l’euro non è una scelta irreversibile.
Il linguaggio di Salvini è doppio perché doppio è il suo elettorato, composto da produttori e sovranisti. Il sorriso pacificato si direbbe destinato ai primi, draghiani per convinzione e istinto di sopravvivenza, mentre il sottile digrignar di denti si rivolge ai secondi, che altrimenti passerebbero con la Meloni. Sembra scritto che ogni governo debba avere una gamba più corta che lo faccia traballare. Se in quello di Conte era incarnata da Renzi, in questo sarà Salvini: meno machiavellico dell’altro Matteo, ma anche meno autodistruttivo e quindi per Draghi un po’ meno pericoloso. Forse.