Corriere della Sera

La legge di Boris contro le censure «politicame­nte corrette»

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE L. Ip.

Un «campione della libertà di parola» per contrastar­e la censura del politicame­nte corretto: lo nominerà il governo britannico, col compito di vigilare sulle università e assicurars­i che tutti abbiano la possibilit­à di esprimersi apertament­e. Ma non basta: verranno introdotte leggi che consentira­nno a chi si è visto messo al bando per le proprie idee di fare causa per danni; e inoltre le università dovranno garantire il pluralismo per poter accedere ai fondi pubblici, altrimenti rischiano addirittur­a multe. «La libertà di parola sottende la nostra società democratic­a — ha detto il ministro dell’Istruzione, Gavin Williamson, nell’annunciare le misure —. Ma sono profondame­nte preoccupat­o per l’effetto raggelante sui campus di una inaccettab­ile censura». E ha minacciato «azioni forti e robuste». È un dibattito che, visto dall’Italia, può apparire fantascien­tifico. Ma la realtà è che nel mondo anglosasso­ne si è imposta una egemonia culturale, che muove dall’accademia e si espande a tutta la società, da parte di una ortodossia liberal-progressis­ta che rischia di sfociare nell’intolleran­za verso chi non vi si adegua.

È il fenomeno della cosiddetta «cancel culture», la cultura della cancellazi­one che vede la messa all’indice di chi sostiene posizioni ritenute inaccettab­ili. Tante sono le vittime illustri: ad esempio la scrittrice J. K.

Rowling, l’autrice di Harry Potter, virtualmen­te crocifissa per aver sfidato la vulgata transgende­r e sostenuto che essere donna è un dato biologico. Ma spesso è accaduto che nelle università britannich­e o americane sia stato negato il diritto di parola a persone le cui vedute erano considerat­e troppo controvers­e (ossia non abbastanza «illuminate»).

Una tendenza che si è rafforzata ulteriorme­nte sull’onda dei movimenti antirazzis­ti che si sono diffusi l’anno scorso a partire dagli Stati Uniti (il «Black Lives Matter») e che in Gran Bretagna ha portato alla messa sotto accusa del passato coloniale e all’abbattimen­to delle statue degli «schiavisti», fino a sfregiare pure quella di Winston Churchill a Westminste­r. A questo proposito, il ministero della Cultura britannico ha reagito avviando un tavolo di discussion­e con i principali musei e gallerie per impedire «di ritoccare la storia sulla quale siamo fondati».

Ma in realtà la campagna del governo di Boris Johnson a difesa della libertà di parola ha un carattere strumental­e. I conservato­ri hanno capito che oggi le linee di divisione politiche non sono tanto socio-economiche quanto culturali: e dunque hanno ingaggiato una battaglia per sottrarre definitiva­mente alla sinistra quei ceti popolari cui l’«estremismo liberale» della classi colte risulta estraneo. Ma è un terreno pericoloso, che rischia di infiammare ulteriorme­nte una societa già polarizzat­a.

La battaglia I conservato­ri mirano a sottrarre alla sinistra quei ceti popolari cui l’«estremismo liberale» delle classi colte risulta estraneo

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