Tra politica e architettura lo sguardo sulle donne diventa analisi della società
Allargare lo sguardo verso orizzonti nuovi. Guidati dagli artisti e dalla loro visione. Con questo spirito il MAXXI celebra la riapertura al pubblico e i suoi primi dieci anni di vita.
Con un percorso d’arte che vuole essere riflessione sulla nostra contemporaneità, inclusa una particolare attenzione dedicata alle donne. A partire da qui, il museo dedica una tappa necessaria all’ex Jugoslavia. Esplorata nel fermento artistico che permea questo territorio tatuato da una storia importante. Narratori poliedrici saranno più di cinquanta artisti, interpreti di vite e voci che legano Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia, Montenegro, Kosovo, Serbia, Slovenia. Da Marina Abramovich a Igor Grubic, Jasmina Cibic, Alban Muja e il collettivo IRWIN, protagonisti della mostra «Più grande di me. Voci di eroi dall’ex Yugoslavia» (dal 31 marzo), a cura di due donne, Zdenka Badovinac e di Giulia Ferracci. In particolare la vicenda di Badovinac ha fatto discutere: è stata rimossa dall’incarico di direttrice della Galleria d’arte moderna di Lubiana nel dicembre scorso. Un effetto (confermato anche dalla diretta interessata), del governo conservatore e nazionalista. La mostra si muove sulle tracce di una ricerca che riflette sulla figura dell’eroe come forza mitologica.
«Questa mostra rappresenta i nostri sforzi costanti per promuovere gli scambi internazionali, la resistenza a qualsiasi ideologia nazionalista e populista, l’arte e le altre pratiche creative come strumentazione politica» spiega Hou Hanru, direttore artistico del Maxxi. «Riesaminare la storia e la realtà attraverso le creazioni artistiche è garanzia di un futuro comune sano, per l’Europa e il mondo».
A partire dai temi fondanti: libertà, fratellanza, speranza, rischio, individualismo, alterità, metamorfosi. E uguaglianza di genere, che muove anche la mostra «Buone Nuove» (da novembre) dedicata all’evoluzione della professione di architetto nel corso del Novecento e di questo inizio millennio. Con una crescente declinazione al femminile, che deve molto alla determinazione pionieristica di donne carismatiche che hanno lasciato il segno nel campo dell’architettura e del design.
Eileen Grey, Charlotte Perriand, Lina Bo Bardi e Phyllis Lambert. A loro si deve lo scardinamento dell’immagine novecentesca del grande architetto a capo di uno Studio rigidamente piramidale, aprendo la strada ad un panorama più consono alla complessità del tempo presente. E all’affermazione, in questa professione troppo a lungo declinata al maschile, del valore creativo e progettuale delle architette consacrato nella forte personalità delle opere di Zaha Hadid, Kazuyo SeJima, Elisabeth Diller, Cini Boeri, Gae Aulenti, Francesca Torzo e Lucy Styles, queste ultime vincitrici della prima edizione del Premio Italiano di Architettura indetto da MAXXI e Triennale Milano. Progettiste, le cui visioni hanno riscritto forme e skyline urbani, tracciando una nuova geografia dal significato fortemente politico e sociale. Un mappamondo di possibilità e interpretazioni degli spazi, spinte dal ruolo che le architette si stanno riprendendo, uscendo dall’ombra cui spesso erano state confinate in passato. Oggi a capo di Studi di progettazione, in coppia o in solitaria, o riunite in collettivi dall’impatto crescente. Come queste «Buone nuove», che guardano anche all’interno delle collezioni del MAXXI e si propongono di ampliarle aprendosi alle opere di giovani architette.
Entrambe le mostre sono frutto ed essenza di un mondo, quello dell’arte, che è in costante movimento. E che, anche da fermo, non ha mai smesso di farci viaggiare.
Tra le esposizioni più attese, l’arte della ex Jugoslavia e le donne architetto del ‘900
Riesaminare la storia e la realtà attraverso le creazioni artistiche è garanzia di un futuro comune sano, per l’Europa e il mondo
Hou Hanru, direttore artistico del MAXXI