«L’Italia avrà 25 milioni di dosi entro giugno»
Lorenzo Wittum, l’ad per il nostro Paese: contro le varianti valutiamo la possibilità di una terza iniezione
L’ad Wittum: entro giugno all’Italia 25 milioni di dosi.
«Confermo che consegneremo all’Europa 180 milioni di dosi nel secondo trimestre dell’anno, di cui 20 milioni all’Italia». Lorenzo Wittum, presidente e amministratore delegato di AstraZeneca Italia, non prende nemmeno in considerazione l’ipotesi, circolata un paio di giorni fa, di una fornitura più che dimezzata (meno di 90 milioni per l’intera Unione europea). Non solo. Nel nostro Paese arriverebbero entro fine marzo oltre 5 milioni di dosi e non i 3,4 previsti: comunque meno degli 8 milioni promessi in un primo momento. In totale, quindi, 25 milioni di dosi entro fine giugno. Numeri dietro i quali c’è un lavoro imponente. «Una produzione di tipo biologico è complessa: richiede il rispetto di tempi e passaggi precisi. Le cellule virali vengono tenute per tre settimane in bioreattori perché si possano replicare: una volta terminato il processo, da un litro di materiale si ottengono 3-4 mila dosi. In teoria la nostra capacità produttiva è di 50 milioni di dosi al mese, ma ci possono essere rallentamenti, come si è visto nei mesi scorsi. Ogni lotto viene sottoposto a un centinaio di test di qualità, basta un ritardo su un solo test per allungare i tempi».
Quanti stabilimenti nel mondo producono il vaccino AstraZeneca?
«Sono una ventina, tra i quali l’impianto in Belgio che lavora per rifornire l’Europa. Gli altri sono per la maggior parte aziende partner, scelte in base a due criteri: capacità tecniche e possibilità di produrre in larga scala».
Che ruolo ha l’Irbm di Pomezia?
«Si tratta di una realtà di eccellenza, che ha stretto un accordo con l’Università di Oxford ancor prima di AstraZeneca. Ha prodotto le dosi necessarie alla sperimentazione e svolge i cosiddetti infectivity test, che misurano la capacità del vaccino di infettare le cellule, per l’intera produzione mondiale. Inoltre avrà un ruolo importante nello sviluppo di nuove versioni del vaccino, dirette contro le varianti “cattive”. Non dimentichiamo poi che l’infialamento avviene ad Anagni, dove ha una sede la multinazionale Catalent».
Che cosa sappiamo oggi in merito all’efficacia del vostro vaccino?
«Gli studi clinici randomizzati pubblicati a dicembre su The Lancet hanno mostrato un efficacia del 62% sulla popolazione generale. Il 40% dei partecipanti aveva ricevuto la seconda dose a più di 8 settimane dalla prima e questo ha permesso di capire che l’intervallo tra le dosi ha effetti rilevanti. Secondo gli ultimi dati, somministrando la seconda dose a 12 settimane di distanza dalla prima, l’efficacia sale all’82%. Nello stesso studio clinico si è osservato un dato estremamente soddisfacente che indica come la protezione dalla malattia grave e dal rischio di ospedalizzazione arrivi al 100% già dopo la prima dose. Una conferma è arrivata dai dati sui vaccinati in Scozia: su circa 500 mila persone l’efficacia nel ridurre le ospedalizzazioni è risultata del 94% nella popolazione generale e dell’81% negli ultra 80enni. A breve sono attesi l’esito di un’indagine simile del Servizio sanitario inglese e a fine marzo avremo i dati dello studio richiesto dalla Fda statunitense».
È vero che dopo la prima dose sono frequenti reazioni come febbre e dolori?
«Nello studio clinico solo l’8% dei vaccinati ha avuto febbre. Seguiamo con attenzione i dati della farmacovigilanza sulla popolazione generale vaccinata: finora non ci sono segnalazioni degne di nota».
Come pensate di affrontare il nodo delle varianti?
«Stiamo valutando la possibilità di somministrare una terza dose e, contemporaneamente, lavoriamo a nuove versioni del vaccino. Per quanto riguarda la cosiddetta “variante inglese”, uno studio pubblicato in preprint su The Lancet indica che l’efficacia è sovrapponibile a quella che si ottiene sul virus originario. Sulle altre varianti purtroppo non possiamo ancora dire molto, ma stiamo ragionando sulle possibili soluzioni».
Per il vaccino, AstraZeneca ha deciso di rinunciare al profitto (ogni dose costa 2,80 euro). A che cosa è legata questa scelta?
«Fa parte dell’accordo con l’Università di Oxford, che cercava partner per produrre il vaccino non a scopo di lucro. Il costo di una dose è esattamente quello della produzione e abbiamo garantito che non sarà modificato fino al termine della pandemia».
Ma, scusi, perché un azionista di AstraZeneca dovrebbe essere contento che l’azienda su cui ha investito non ottenga profitti in questo caso?
«L’azienda ha potuto fare questa scelta perché aveva già all’attivo un portfolio ampio di prodotti su cui gli investitori possono far conto. È l’accordo che abbiamo preso con Oxford e la cosa giusta da fare. Siamo focalizzati a rendere disponibile il nostro vaccino in modo ampio ed equo ed è pertanto prematuro pensare ora al confronto che avremo con le altre aziende in termini di libero mercato anche sul vaccino anti-Covid, quando la pandemia verrà sconfitta».
Sono circolate voci sull’esistenza di canali paralleli di fornitura del vaccino e AstraZeneca ha presentato un esposto ai Nas. Può raccontarci la vicenda?
«Qualche settimana fa siamo stati contattati dai Nas dell’Umbria, perché una persona che diceva di far capo alla nostra azienda ha tentato di vendere vaccini alla Regione. Si è parlato dell’esistenza di “mediatori”. Come società, vendiamo il nostro vaccino solo a governi o organizzazioni governative e i contratti che firmiamo prevedono che i vaccini siano offerti direttamente alla cittadinanza, senza altri passaggi intermedi. Non possiamo controllare cosa succede una volta che le dosi sono consegnate ai singoli Paesi. Invito però tutti alla massima attenzione, perché il vaccino si mantiene integro solo se viene garantita la catena del freddo (tra 2 e 8 gradi centigradi, ndr). E inoltre non posso escludere il rischio che fuori dai canali ufficiali circolino prodotti contraffatti. È il motivo per cui abbiamo proposto ai governi di distruggere i flaconi dopo l’utilizzo».
La nostra capacità produttiva è di 50 milioni di dosi al mese, ma ogni lotto viene sottoposto a un centinaio di test di qualità, basta un ritardo su uno solo per allungare i tempi
L’intervallo tra le dosi ha effetti rilevanti Secondo gli ultimi dati, somministrando la seconda dose a dodici settimane di distanza dalla prima, l’efficacia sale all’82 per cento
Non posso escludere il rischio che fuori dai canali ufficiali circolino prodotti contraffatti È il motivo per cui abbiamo proposto ai governi di distruggere i flaconi dopo l’utilizzo