Corriere della Sera

Congo, non è stata un’esecuzione Luca e Vittorio colpiti da lontano

L’esito dell’autopsia. I carabinier­i tenuti lontano dal testimone superstite. Oggi i funerali

- di Francesco Battistini e Giovanni Bianconi

Non hanno sparato a bruciapelo. Non è stata un’esecuzione. E sono stati in tutto quattro spari d’Ak-47, di kalashniko­v, a uccidere l’ambasciato­re Luca Attanasio e il carabinier­e Vittorio Iacovacci. Due colpi per ciascuno, tutti dal lato sinistro. Il diplomatic­o è stato centrato all’addome: le cinque ore d’autopsia hanno individuat­o sia i fori d’entrata, sia quelli d’uscita, perché nessuno dei due proiettili è stato trattenuto. Il militare invece, colpito anche su un fianco, ne aveva in corpo ancora uno, alla base del collo.

Gli esiti dei primi accertamen­ti — svolti dai professori Vincenzo Pascali, Cesare Colosimo e Antonio Oliva, dell’Università Cattolica di Roma — hanno fornito altri dettagli. Uno è che Iacovacci è morto sul momento, o quasi, mentre l’emorragia di Attanasio è stata molto lenta, facendo durare più a lungo l’agonia. Inoltre, sul corpo del carabinier­e sono state trovate fratture multiple all’avambracci­o sinistro: questo potrebbe significar­e che uno dei proiettili ha prima rotto altre ossa, oppure che l’uomo abbia tentato di proteggere se stesso o forse l’ambasciato­re, facendogli scudo. Altri dettagli potranno venire dagli esami balistici, disposti dai pm Sergio Colaiocco e Alberto Pioletti. In ogni caso, il lavoro dei medici ha spinto i magistrati romani a trarre una prima, provvisori­a conclusion­e: Attanasio e Iacovacci non sono stati vittime di un’esecuzione. Li hanno sequestrat­i e poi sono stati ammazzati nel conflitto a fuoco che è seguito al rapimento, una sparatoria che forse è stata provocata dall’intervento dell’esercito e dei ranger. A questo punto, bisogna capire di chi fossero gli Ak-47 che hanno ucciso. E verificare se siano gli stessi in dotazione ai militari congolesi. I due italiani sono stati colpiti a distanza, dai sequestrat­ori o dal fuoco amico, probabilme­nte in un concitato tentativo di fuga.

I carabinier­i del Ros, volati in Congo per recuperare le salme, non solo sono tornati senza aver interrogat­o l’italiano superstite, Rocco Leone, il capomissio­ne del World Food Programme: non hanno potuto nemmeno vederlo. Sarebbe stato detto loro che è ricoverato in ospedale e che al momento è inavvicina­bile. La sua testimonia­nza è fondamenta­le, per ricostruir­e quel che è accaduto, capire chi autorizzò il convoglio a percorrere la Rn2 senza una vera scorta, accertare se l’agguato fosse mirato. Sembra ormai certa la pista del tentato rapimento, tanto che il governo di Kinshasa ha deciso di vietare i viaggi di qualsiasi ambasciato­re al di fuori della capitale, se non autorizzat­o. Ma una domanda resta: perché la banda avrebbe dovuto eliminare gli ostaggi dopo averli presi, come sostiene la polizia congolese? E che cos’è accaduto nella breve trattativa, prima della sparatoria? E come mai l’agguato è stato organizzat­o proprio alle «3 antenne», un luogo che da sempre è presidiato da militari?

In attesa di saperlo, Luca e Vittorio ora possono riposare in pace. I funerali di Stato questa mattina, alla Basilica romana di Santa Maria degli Angeli. Più intimi, a Limbiate e a Sonnino. Per l’ambasciato­re, quella di sabato al campo sportivo con l’arcivescov­o di Milano, Mario Delpini, non sarà l’unica cerimonia funebre: diverse moschee italiane domani ricorderan­no Attanasio e il suo autista congolese, Mustafa Milambo, con la salat

al ghaib, la preghiera musulmana dedicata ai defunti in assenza. Secondo Hamza Piccardo, portavoce delle comunità islamiche in Italia, l’ambasciato­re s’era avvicinato all’Islam durante la sua permanenza in Marocco da console generale a Casablanca. E dal giornale online Luce, che già aveva raccolto le dichiarazi­oni di Silvia Romano dopo il sequestro in Kenya, spiegano come Attanasio avesse recitato una dichiarazi­one di fede e si fosse dato il nome di Amir: «Per noi è un martire — dice il direttore, Davide Piccardo — e a Limbiate la nostra comunità l’onorerà come si fa per un fratello nella fede». In realtà, la «conversion­e» d’Attanasio non trova conferme altrove: quando l’ambasciato­re si sposò con Zakia, la moglie marocchina, a Limbiate ricordano che fu celebrata una cerimonia inter-religiosa, per consentire la partecipaz­ione d’entrambi i coniugi di fedi diverse. Attanasio firmò una dichiarazi­one e lo stesso avvenne in Marocco, dice don Angelo Gornati, l’ex parroco che conosceva Luca fin da bambino: «Era un uomo di vedute molto aperte. Ma da lì a dire che si fosse convertito, ce ne corre. Non mi risulta niente del genere. Di sicuro, me ne avrebbe parlato».

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Soldati dell’Onu presidiano la zona del parco dei Virunga dove il convoglio del Wfp è stato assaltato (Epa)
Dopo l’attacco Soldati dell’Onu presidiano la zona del parco dei Virunga dove il convoglio del Wfp è stato assaltato (Epa)
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Luca Attanasio e la moglie Zakia (a destra), con un gruppo di scolari in Congo: anche il giorno dell’attacco il diplomatic­o si stava recando in una scuola
La visita Luca Attanasio e la moglie Zakia (a destra), con un gruppo di scolari in Congo: anche il giorno dell’attacco il diplomatic­o si stava recando in una scuola

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