IL PADRE DI NOVI UN EROE SILENZIOSO
Ricorrono in questi giorni i vent’anni dalla strage di Novi Ligure. Forse la più efferata e sconvolgente strage familiare dopo quella di Rina Fort che nel 1946 eliminò la moglie dell’amante con i suoi tre figli piccoli. Anzi, se proprio vogliamo fare una crudele classifica della crudeltà, quello di Novi è un massacro ancora più sconvolgente perché fu una sedicenne, con il suo fidanzato quasi coetaneo, a eliminare la madre e il fratellino undicenne per motivi inaccessibili alla mente umana. E per di più con una ferocia senza pari. Ne è seguita una lunga bibliografia sulle «disfunzioni» familiari, sulla non comunicazione domestica, sulle debolezze dei genitori e le fragilità dell’adolescenza, sul narcisismo diffuso e le identità liquide. Da allora, si sono moltiplicate le diagnosi soprattutto sulla figura paterna, individuata come evanescente e in fuga: studi, saggi, pamphlet sui papà spiegati alle mamme, sui nuovi padri, su ciò che ogni uomo dovrebbe sapere sulla paternità, sulla famiglia in cerca del padre, su Ettore, su Enea e Anchise, su Ulisse e Telemaco, eccetera. Ma ripensando vent’anni dopo ai «fidanzatini» assassini Erika e Omar, che pare si siano avviati a un futuro normale, non si può negare l’ammirazione massima all’ingegner Francesco De Nardo, per il quale non si è mai usato un sostantivo di cui spesso si abusa: eroe. È lui l’eroe di questa storia diventata tragicamente mitica. Il Padre che, come ha detto don Antonio Mazzi, assistente morale della ragazza, è stato «fondamentale» nella sua ricostruzione. E mai aggettivo fu più etimologicamente appropriato. Un padre che riscatta tutti i padri (in fuga), essendo sempre stato presente a sua figlia nella stessa misura in cui è stato assente e silenzioso sulla ciarliera e chiassosa scena pubblica. Non è escluso che quel silenzio abbia contribuito ad accrescere in lui la forza e la dolcezza, che nella tradizione classica sono le qualità paterne. Un eroe antico del nostro tempo.