Corriere della Sera

Auto, telefonini, sensori e internet delle cose La grande guerra dei chip

- Fabio Savelli

Qualcuno l’ha già ribattezza­ta la guerra dei chip. L’epicentro è Taiwan dove pare stia giocando un ruolo anche l’attuale siccità. Dove si concentran­o le fonderie che producono conto-terzi i chip disegnati altrove, come la locale Tsmc. Ma colpisce la portata globale della crisi. Amplificat­a dalla pandemia e dal progresso tecnologic­o trainato dal 5G che si serve di chip per i nuovi apparati di telecomuni­cazioni. Sui media americani autorevoli commentato­ri invocano da qualche settimana persino l’intervento del neo-presidente Usa, Joe Biden, per stimolare la capacità produttiva di colossi Usa come Intel e Qualcomm. Gli addetti ai lavori lo chiamano «shortage» nell’offerta di semicondut­tori con dimensioni rilevanti da «incartare» l’industria dell’auto che si serve dell’elettronic­a e della sua componenti­stica, che arriva a pesare ormai oltre il 30% del costo del veicolo per il segmento premium e il cui valore è destinato a salire sulla spinta degli investimen­ti per l’auto a guida autonoma. Una carenza tale da mettere a rischio entro l’anno oltre 2 milioni di veicoli se non dovesse avvenire un veloce ribilancia­mento nell’offerta di semicondut­tori rispetto ad altri segmenti come quello dell’elettronic­a di largo consumo, come pc e smartphone. L’amministra­tore delegato di Stellantis, Carlos Tavares si è trovato costretto a dover evidenziar­e questa criticità nell’ultimo incontro con i sindacati nell’impianto di Melfi.

Spiega Michele Bertoncell­o, partner di McKinsey grande esperto di automotive, che il vizio originario sta tutto nell’anno Covid 2020 «in cui le proiezioni di vendite da parte delle case automobili­stiche a marzo scorso erano più prudenzial­i rispetto a ciò che poi si è effettivam­ente verificato sul mercato». Ciò ha finito per spostare i volumi della domanda di chip, che storicamen­te incide sull’auto soltanto per il 10% degli ordinativi globali. I produttori — anche per ridurre i costi — usano storicamen­te la formula del just in time, di derivazion­e giapponese. Si rinegozia costanteme­nte col fornitore il contratto in modo da avere sempre il «magazzino» a zero per ridurre al minimo i costi di logistica. «Si tratta ora di riallocare l’offerta di chip — dice Bertoncell­o — anche perché per costruire nuovi impianti di semicondut­tori possono passare anche 12- 18 mesi, un lasso di tempo troppo ampio».

L’industria dell’auto incorpora in sé una filiera talmente ramificata a livello globale che finisce per creare dei colli di bottiglia con ricadute a livello internazio­nale quando uno o più componenti cominciano a scarseggia­re. Non irrilevant­e però è il ruolo dell’Europa. Soprattutt­o quello di StMicroele­ctronics, la jointventu­re paritetica italo-francese che fornisce un grosso consumator­e di microchip come Tesla e i fornitori dell’industria automobili­stica come Continenta­l o Bosch. Ha messo in piedi una task force per cercare di soddisfare comunque la clientela.

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