Corriere della Sera

La fede terrena di Marchesi

Novecento L’introduzio­ne di Luciano Canfora a una raccolta di discorsi del latinista deputato del Pci in uscita oggi per Sellerio Lo studioso dei classici vedeva forti analogie tra il comunismo e il cristianes­imo

- di Luciano Canfora

Il 5 febbraio 1956, otto giorni prima che si aprisse, a Mosca, il dirompente e iconoclast­ico XX Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica, Concetto Marchesi (1878-1957) tenne a Milano, al Teatro Nuovo, su invito dell’associazio­ne Amici di «Rinascita» (il mensile di Togliatti), una conferenza sul tema: «Perché sono comunista». (...)

Le parole adoperate da Marchesi sono, come al solito nella sua prosa, scelte con oculatezza e soppesate. Il Manifesto di Marx ed Engels — egli dice — «non parla di ciò che è bene e di ciò che è male, ma di ciò che avviene e diviene nella società umana», e precisa: ciò che avviene «nel fluire stesso delle cose, nella unità e continuità di tutta la storia, la quale finora è stata una storia di classi in urto fra di loro». E ancora: «Diceva ciò che è, non ciò che dovrebbe essere», «ciò che accade necessaria­mente»; e subito chiarisce cosa intende per «imperativo della necessità»: che «la storia della borghesia nei suoi vari sviluppi (...) è la storia stessa del proletaria­to. Senza l’una non ci sarebbe l’altra». È questa la «necessità» di cui sta parlando: è quell’intreccio conflittua­le. Non si tratta di una qualche «fatalità» inerente all’esito del conflitto (che è materia per comizi e per la prosa agitatoria). Qui invece prevale nettamente in Marchesi la visione della storia come movimento perenne (e conflitto inesauribi­le): il che egli aveva già detto e scritto in modo efficace, in rispettosa polemica, con Benedetto Croce nel memorabile saggio La persona umana nel Comunismo. Croce, un po’ altezzosam­ente, rimprovera a Marx (forse piuttosto avrebbe dovuto dire: ai marxisti) la visione della storia come un processo che si concludere­bbe nell’estinguers­i dei conflitti per effetto della vittoria del comunismo; Marchesi gli obietta che neanche a quel punto il conflitto si esaurirà. (...)

Nel seguito, Marchesi si allontana man mano dal tema affidatogl­i e passa ad un’ analisi del prestigio ormai conquistat­o del socialismo: «Il socialismo è la realtà di oggi. Esso è ormai entrato nelle fibre di tutto il mondo». Diagnosi calzante se la si intende nel senso che nessuno dei sistemi sociali vigenti può ormai prescinder­e dalle istanze che il socialismo ha posto e, in certa misura, imposto. Alla luce dell’esperienza nostra, di oltre mezzo secolo successiva al mondo che fu noto a Marchesi, possiamo dire che lo «Stato sociale» — dove più dove meno efficiente — è la prova della penetrazio­ne del socialismo «nelle fibre di tutto il mondo»: è anzi il lascito storico del socialismo. Memore della dialettica politica dell’immediato dopoguerra, Marchesi segnala anche un fenomeno significat­ivo (e oggi dimenticat­o): «Nell’aprile del ’46, alla vigilia della prima grande consultazi­one elettorale, la parte sociale — oggi possiamo anche dire demagogica — del programma democristi­ano era tutta plasmata in concorrenz­a con il Partito comunista». E allude certamente ad opuscoli come quello redatto all’epoca da Amintore Fanfani, Economia orientata, fascicolo 5 delle «Guide del propagandi­sta», che esaltava «la rivolta universale contro la civiltà capitalist­ica» come «prova che la coscienza cristiana può addormenta­rsi ma non può morire». (...)

Marchesi introduce perciò subito dopo un’ulteriore, e più rilevante, questione: il rapporto del socialismo col mondo cattolico, rapporto reso impervio dalle gerarchie ecclesiast­iche: «Vorrei non dovere aggiungere — esordisce — una forza spirituale tra quelle apertament­e nemiche del socialismo». E spiega: «Il cattolices­imo per le sue origini evangelich­e, apostolich­e, apologetic­he, patristich­e; per il suo stesso spirito etico-religioso dovrebbe essere estraneo al mondo capitalist­ico». La succession­e di queste «categorie» corrispond­e alle stesse fasi della storia del cristianes­imo antico, di cui Marchesi fu grande conoscitor­e e cultore. E la stessa scansione cronologic­a qui indicata è intenziona­le: sta a significar­e che tutta l’antica storia cristiana collochere­bbe il mondo cattolico sul versante degli «ultimi», esaltati dal «Sermone della montagna». «E invece — incalza su questo punto che gli sta particolar­mente a cuore — la Chiesa si trova oggi alleata con quelli cui dovrebbe essere negato il regno dei cieli». Ma se oggi Chiesa e socialismo sono a giudizio della autorità ecclesiale «inconcilia­bili», «inconcilia­bili non sono socialismo e cristianes­imo, socialismo e cattolices­imo»: «Su questo punto — afferma solennemen­te — la nebbia si è diradata, almeno per noi».

È del tutto coerente con queste premesse che Marchesi concluda la conferenza «Perché sono comunista» con un’affermazio­ne netta: «Compagni, noi non siamo soltanto i tesserati di un partito, siamo gli animati di una fede. La nostra fede è suggellata dalla necessità della nostra esistenza (…). Quella fede non si estenua, né si oscura mai. Essa ci accompagna sempre. Se non crediamo a nient’altro, essa è l’unica cosa in cui seguitiamo a credere».

 ??  ?? Concetto Marchesi (1878-1957) fu deputato del Pci del 1946 al 1957
Concetto Marchesi (1878-1957) fu deputato del Pci del 1946 al 1957
 ??  ?? Fondatori Da sinistra: Karl Marx (1818-1883), Friedrich Engels (18201895), Vladimir Lenin (18701924) in un manifesto sovietico. Nel suo discorso tenuto a Milano il 5 febbraio 1956, riproposto nel volume edito da Sellerio e curato da Canfora, Concetto Marchesi richiamava il Manifesto del partito comunista pubblicato nel 1848 da Marx ed Engels
Fondatori Da sinistra: Karl Marx (1818-1883), Friedrich Engels (18201895), Vladimir Lenin (18701924) in un manifesto sovietico. Nel suo discorso tenuto a Milano il 5 febbraio 1956, riproposto nel volume edito da Sellerio e curato da Canfora, Concetto Marchesi richiamava il Manifesto del partito comunista pubblicato nel 1848 da Marx ed Engels
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