Quella grande tribù familiare in un teatrino dell’assurdo
Gradevole commedia degli equivoci con Stefania Sandrelli e Serena Rossi
Carino è termine sommamente ambiguo. Può essere usato per mascherare un giudizio negativo, per non essere offensivi, ma possiede anche un suo intrinseco valore positivo, di complimento per cosa gradevole e piacevole. È in questo senso che vorrei usarlo per l’esordio nella regia dell’attore Marco Mario de Notaris. Il suo La tristezza ha il sonno leggero (dal romanzo omonimo di Lorenzo Marone, sceneggiato dal regista-protagonista e da Tiziana Martini, dal 26 su RaiPlay) scivola via con piacere, senza scosse o contraccolpi, lasciando alla fine la sensazione di un’opera garbata e divertente, capace di avvicinarsi con delicatezza a quel nodo di vipere che sono le famiglie «allargate» e di sorridere — se non proprio di ridere — dei difetti e delle manie di ognuno. In maniera carina, appunto. Come una volta faceva certo cinema medio italiano che oggi sembra sparito.
Dopo una breve «introduzione» dove vediamo Matilde (Gioia Spaziani) sbattere fuori di casa il marito Erri (Marco Mario de Notaris), quarantenne depresso e ipocondriaco incapace di darle quel figlio che ha deciso di cercare con un collega, il film si sposta nella casa dove Erri ha trovato riparo e di cui si trova unico padrone quando i suoi coinquilini, decisamente più giovani e più attivi, decidono di partire per Berlino per essere testimoni della fine dei muri tra le due Germanie. Siamo a Napoli, di cui assaporiamo l’eco musicale e la cadenza dialettale, e siamo nel 1989, con gli immancabili telegiornali, che ci serviranno — lo si scoprirà più avanti — per ricordare le divisioni ideologiche tra democristiani e comunisti che hanno segnato la complicata famiglia di Erri. Che lui spera di poter lasciare fuori dalla porta (non solo metaforicamente) la sera in cui ha invitato dopo molte esitazioni una escort che gli hanno garantito essere alle prime armi.
E invece, proprio quella sera, proprio all’ora dell’appuntamento proibito o giù di lì, iniziano a suonare alla sua porta tutti i variopinti componenti di una tribù familiare che più complessa non si potrebbe, a cominciare da Flor (Serena Rossi), la sorella «hippie» che si è scoperta incinta e gli annuncia la decisione della madre Renata (Stefania Sandrelli) — per lei in realtà matrigna — di riunire tutti i membri del clan proprio lì. E lo spettatore incomincia a perdersi tra figli e genitori, visto che i doppi matrimoni, le separazioni e le divagazioni sentimentali rendono arduo orientarsi. Anche perché la regia si diverte a concedere notizie smozzicate e incomplete, dove l’accento è messo soprattutto su chi non è figlio di chi (per esempio, che Flor non è figlia di Renata pur essendo sorella di Erri, che invece di Renata è figlio: complicazioni dovute a tradimenti matrimoniali di cui verremo messi a parte).
E le cose si ingarbugliano ancora di più quando si presenta l’aspirante escort, Arianna (Eugenia Costantini) che avevamo visto in un flash essere amica di Flor a cui naturalmente aveva confessato la sua totale estraneità alla professione. Quella sarebbe stata la sua prima volta, salvo scoprire che Erri è il suo fratellastro, essendo figlia di primo letto di Mario (Marzio Honorato) che è il secondo marito di Renata.
Come si vede un bel groviglio, che il film svolge con compiaciuto divertimento, ora svelando altarini e tradimenti (Giovanni e Valerio, rispettivamente Ciro Priello e Roberto Caccioppoli, figli di Renata e Mario hanno ognuno le loro complicazioni senti menta l- matrimoniali ), ora punzecchiando le differenti posizioni politiche dei presenti. A cui l’ineffabile presenza della Sandrelli, che rimpiange i complimenti ricevuti da Andreotti, dà quel tono da ironico teatrino dell’assurdo che permette al film di variare toni e direzioni. Perché se certe svolte sono piuttosto prevedibili (chi ha messo incinta Flor?), altro è lo scopo del film: non quello di un giallo sentimentale ma piuttosto il tentativo di scherzare e ironizzare con situazioni comuni — matrimoni complicati, donne padrone, maschi remissivi, infelicità coniugali — per svolgerle con leggerezza e un pizzico di ironia. Partenopea e parte napoletana.
Felice esordio alla regia di de Notaris: la storia scivola via con piacere lasciando alla fine la sensazione di un’opera garbata e divertente