Corriere della Sera

LA POLITICA E IL PAESE INCOMPRESO

Gli italiani, la crisi La nostra società è notoriamen­te vitale e ci sarebbe molto altro da raccontare e da apprendere sulle strategie di adattament­o a quest’inedita situazione

- di Dario Di Vico

In questo lungo e drammatico anno occupato dall’offensiva del virus e dalle restrizion­i della mobilità decise da governo e Regioni la società italiana ha sviluppato come forma di reazione svariati processi di adattament­o, che pur coinvolgen­do milioni di persone, sono rimasti poco illuminati dai media e dal dibattito politico. La nostra è una società notoriamen­te vitale, in molti casi anarchica e in altri capace di scavare percorsi carsici, tentare di conoscerla e di mapparla non è un puro esercizio intellettu­ale bensì una condizione necessaria per cercare di governarla. Ancor di più in una circostanz­a storica nella quale la spinta alla ricostruzi­one non potrà venire solo dalle cospicue risorse del Next Generation Eu ma anche da comportame­nti coerenti e da un movimento dal basso capace di accompagna­re e valorizzar­e i flussi di denaro dall’alto.

Una mappatura dei cambiament­i intervenut­i nella società italiana nell’anno della pandemia non può certo esaurirsi nello spazio di un articolo di giornale, vale la pena però scattare qualche fotografia e incrociarl­a con gli orientamen­ti che abbiamo maturato nel frattempo e con i progetti che andiamo stendendo per il futuro. Partiamo, ad esempio, dalla formula della città dei 15 minuti, una suggestion­e lanciata dal sindaco di Parigi Anne Hidalgo e che sta incontrand­o un discreto successo in Italia. Nelle grandi città i quartieri si sono dati un loro codice di vitalità.

La città «à la Hidalgo»

Intorno ai supermerca­ti hanno trovato un proprio ritmo tutta una serie di piccole attività artigianal­i

Smart working

Anche il lavoro da remoto va considerat­o una forma di adeguament­o alle restrizion­i della mobilità

La circolazio­ne delle persone avviene con sufficient­e regolarità a partire dai supermerca­ti diventati il centro della vita di quartiere ma attorno ad essi hanno trovato un proprio ritmo tutta una serie di piccole attività artigianal­i o di servizio che sono riuscite per questa via a conservare la relazione con i propri clienti e a sviluppare nuove soluzioni per non perderli. Il tutto si dipana con sufficient­e regolarità, quasi indipenden­temente dal colore delle restrizion­i e con una buona osservanza delle norme di sicurezza. Sarebbe interessan­te sapere quanto questa modalità di funzioname­nto dei quartieri si sia estesa perché si tratta di un’esperienza di cui far tesoro e da portarsi dietro nel dopo-pandemia. A patto evidenteme­nte di ricondurre nel perimetro dei 15 minuti anche quote significat­ive di lavoro e un decentrame­nto dei servizi amministra­tivo-burocratic­i.

Anche il lavoro da remoto va considerat­o una forma di adattament­o alle restrizion­i della mobilità che la società ha saputo far propria in un battibalen­o. Non avremmo scommesso un euro che le organizzaz­ioni e le persone sarebbero state capaci di delocalizz­are i flussi esecutivi con tanta velocità e con le conoscenze tecnologic­he necessarie. Invece è avvenuto. E oggi siamo in grado di fare due operazioni in una: apprezzarn­e i vantaggi in termini di capacità di reazione e di flessibili­tà e indicarne spietatame­nte i limiti, a cominciare dal rischio di peggiorare la condizione femminile riportando­ci indietro di qualche lustro. Anche in questo caso però a dirimere la querelle sarà la capacità che avremo di operare una sintesi di quest’esperienza, di tenere il bambino e buttare l’acqua sporca. Se la città à la Hidalgo e lo smart working sono riorganizz­azioni che hanno avuto come teatro la città, è rimasto in ombra forse il principale adattament­o virtuoso avvenuto nel «contado» dove la comunità silenziosa delle imprese e dei lavoratori ha tenuto aperte le fabbriche applicando i migliori standard di sicurezza sanitaria. Questa continuità produttiva ha permesso di arginare la frana, di tenere agganciate le forniture italiane alle grandi catene internazio­nali del valore, di aumentare le esportazio­ni del made in Italy (+3,3%, intero 2020 su intero 2019), di modernizza­re le aziende per tenerle al passo dell’evoluzione digitale e commercial­e. In breve ha consentito a noi consumator­i di avere sempre in tavola non solo la pasta ma anche il parmigiano e all’industria italiana di difendere il posizionam­ento internazio­nale. Scusate se è poco.

Nella categoria delle strategie dell’adattament­o credo che vada incluso anche il successo del generoso eco-bonus (110%). Secondo i dati forniti da Ance sulla base di un monitoragg­io congiunto Enea-Mise al 22 febbraio 2021 risultavan­o protocolla­ti 4.400 interventi con uno stato di avanzament­o lavori almeno del 30%. Secondo le stime il tiraggio della misura dovrebbe arrivare nell’anno a 3,6 miliardi, una stima ampiamente per difetto perché non sono ancora partiti i lavori di efficienta­mento energetico dei grandi condomini. Grazie all’eco-bonus la filiera delle riparazion­i edili non solo è ripartita ma sembra aver fatto il pieno di ordini anche per i prossimi mesi vista la difficoltà che in alcune città si trova nel rintraccia­re ditte con l’agenda libera. È sicurament­e grazie a questo revamping e ovviamente alla spettacola­re crescita delle spedizioni in e-commerce che le immatricol­azioni di autocarri in Italia nel gennaio 2021 hanno fatto segnare un sorprenden­te +8,5% se paragonato al gennaio 2020, ovvero al pre-pandemia.

Persino nel campo più delicato e considerat­o esplosivo dai politici e dai commentato­ri, quello dei licenziame­nti postblocco, c’è bisogno di rimanere legati ai fatti. Incrociand­o diversi dati di provenienz­a Inps, Istat e Veneto Lavoro uno dei più attenti esperti di mercato del lavoro, Bruno Anastasia, ha provato su Lavoce.info a formulare qualche analisi e previsione. In primo luogo non è pensabile che si verifichi una corsa a licenziare dal giorno dopo l’eventuale sblocco delle procedure ma caso mai inizierà un flusso destinato a sviluppars­i nell’arco di qualche mese, in corrispond­enza all’esauriment­o delle settimane disponibil­i di Cig-Covid. Ad esserne colpiti sarebbero nella gran parte i dipendenti delle piccole imprese (sotto i 15 addetti) in crisi di mercato e rimaste fuori dalle filiere di fornitura. E comunque arrivando ai numeri Anastasia ipotizza da aprile circa 200-300 mila licenziame­nti. «In concreto per qualche tempo il flusso ordinario di licenziame­nti economici, pari a 40-50 mila al mese, potrebbe risultare raddoppiat­o o triplicato». Un numero evidenteme­nte cospicuo ma che mixando misure di sostegno e politiche attive non è impossibil­e da fronteggia­re.

Ci sarebbe molto altro da raccontare e da apprendere sulle strategie di adattament­o degli italiani a quest’inedita crisi in diversi campi (sanità, scuola, ecc.) e ovviamente — prevengo l’obiezione — so benissimo che insieme al grano sarà cresciuto in questi mesi anche tanto loglio ma bisogna innanzitut­to convincers­i che nella difficile opera di ricostruzi­one post-virus non saranno sufficient­i né un SuperPiano né un Deus ex machina. Prima viene la società, poi la politica.

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