LA POLITICA E IL PAESE INCOMPRESO
Gli italiani, la crisi La nostra società è notoriamente vitale e ci sarebbe molto altro da raccontare e da apprendere sulle strategie di adattamento a quest’inedita situazione
In questo lungo e drammatico anno occupato dall’offensiva del virus e dalle restrizioni della mobilità decise da governo e Regioni la società italiana ha sviluppato come forma di reazione svariati processi di adattamento, che pur coinvolgendo milioni di persone, sono rimasti poco illuminati dai media e dal dibattito politico. La nostra è una società notoriamente vitale, in molti casi anarchica e in altri capace di scavare percorsi carsici, tentare di conoscerla e di mapparla non è un puro esercizio intellettuale bensì una condizione necessaria per cercare di governarla. Ancor di più in una circostanza storica nella quale la spinta alla ricostruzione non potrà venire solo dalle cospicue risorse del Next Generation Eu ma anche da comportamenti coerenti e da un movimento dal basso capace di accompagnare e valorizzare i flussi di denaro dall’alto.
Una mappatura dei cambiamenti intervenuti nella società italiana nell’anno della pandemia non può certo esaurirsi nello spazio di un articolo di giornale, vale la pena però scattare qualche fotografia e incrociarla con gli orientamenti che abbiamo maturato nel frattempo e con i progetti che andiamo stendendo per il futuro. Partiamo, ad esempio, dalla formula della città dei 15 minuti, una suggestione lanciata dal sindaco di Parigi Anne Hidalgo e che sta incontrando un discreto successo in Italia. Nelle grandi città i quartieri si sono dati un loro codice di vitalità.
La città «à la Hidalgo»
Intorno ai supermercati hanno trovato un proprio ritmo tutta una serie di piccole attività artigianali
Smart working
Anche il lavoro da remoto va considerato una forma di adeguamento alle restrizioni della mobilità
La circolazione delle persone avviene con sufficiente regolarità a partire dai supermercati diventati il centro della vita di quartiere ma attorno ad essi hanno trovato un proprio ritmo tutta una serie di piccole attività artigianali o di servizio che sono riuscite per questa via a conservare la relazione con i propri clienti e a sviluppare nuove soluzioni per non perderli. Il tutto si dipana con sufficiente regolarità, quasi indipendentemente dal colore delle restrizioni e con una buona osservanza delle norme di sicurezza. Sarebbe interessante sapere quanto questa modalità di funzionamento dei quartieri si sia estesa perché si tratta di un’esperienza di cui far tesoro e da portarsi dietro nel dopo-pandemia. A patto evidentemente di ricondurre nel perimetro dei 15 minuti anche quote significative di lavoro e un decentramento dei servizi amministrativo-burocratici.
Anche il lavoro da remoto va considerato una forma di adattamento alle restrizioni della mobilità che la società ha saputo far propria in un battibaleno. Non avremmo scommesso un euro che le organizzazioni e le persone sarebbero state capaci di delocalizzare i flussi esecutivi con tanta velocità e con le conoscenze tecnologiche necessarie. Invece è avvenuto. E oggi siamo in grado di fare due operazioni in una: apprezzarne i vantaggi in termini di capacità di reazione e di flessibilità e indicarne spietatamente i limiti, a cominciare dal rischio di peggiorare la condizione femminile riportandoci indietro di qualche lustro. Anche in questo caso però a dirimere la querelle sarà la capacità che avremo di operare una sintesi di quest’esperienza, di tenere il bambino e buttare l’acqua sporca. Se la città à la Hidalgo e lo smart working sono riorganizzazioni che hanno avuto come teatro la città, è rimasto in ombra forse il principale adattamento virtuoso avvenuto nel «contado» dove la comunità silenziosa delle imprese e dei lavoratori ha tenuto aperte le fabbriche applicando i migliori standard di sicurezza sanitaria. Questa continuità produttiva ha permesso di arginare la frana, di tenere agganciate le forniture italiane alle grandi catene internazionali del valore, di aumentare le esportazioni del made in Italy (+3,3%, intero 2020 su intero 2019), di modernizzare le aziende per tenerle al passo dell’evoluzione digitale e commerciale. In breve ha consentito a noi consumatori di avere sempre in tavola non solo la pasta ma anche il parmigiano e all’industria italiana di difendere il posizionamento internazionale. Scusate se è poco.
Nella categoria delle strategie dell’adattamento credo che vada incluso anche il successo del generoso eco-bonus (110%). Secondo i dati forniti da Ance sulla base di un monitoraggio congiunto Enea-Mise al 22 febbraio 2021 risultavano protocollati 4.400 interventi con uno stato di avanzamento lavori almeno del 30%. Secondo le stime il tiraggio della misura dovrebbe arrivare nell’anno a 3,6 miliardi, una stima ampiamente per difetto perché non sono ancora partiti i lavori di efficientamento energetico dei grandi condomini. Grazie all’eco-bonus la filiera delle riparazioni edili non solo è ripartita ma sembra aver fatto il pieno di ordini anche per i prossimi mesi vista la difficoltà che in alcune città si trova nel rintracciare ditte con l’agenda libera. È sicuramente grazie a questo revamping e ovviamente alla spettacolare crescita delle spedizioni in e-commerce che le immatricolazioni di autocarri in Italia nel gennaio 2021 hanno fatto segnare un sorprendente +8,5% se paragonato al gennaio 2020, ovvero al pre-pandemia.
Persino nel campo più delicato e considerato esplosivo dai politici e dai commentatori, quello dei licenziamenti postblocco, c’è bisogno di rimanere legati ai fatti. Incrociando diversi dati di provenienza Inps, Istat e Veneto Lavoro uno dei più attenti esperti di mercato del lavoro, Bruno Anastasia, ha provato su Lavoce.info a formulare qualche analisi e previsione. In primo luogo non è pensabile che si verifichi una corsa a licenziare dal giorno dopo l’eventuale sblocco delle procedure ma caso mai inizierà un flusso destinato a svilupparsi nell’arco di qualche mese, in corrispondenza all’esaurimento delle settimane disponibili di Cig-Covid. Ad esserne colpiti sarebbero nella gran parte i dipendenti delle piccole imprese (sotto i 15 addetti) in crisi di mercato e rimaste fuori dalle filiere di fornitura. E comunque arrivando ai numeri Anastasia ipotizza da aprile circa 200-300 mila licenziamenti. «In concreto per qualche tempo il flusso ordinario di licenziamenti economici, pari a 40-50 mila al mese, potrebbe risultare raddoppiato o triplicato». Un numero evidentemente cospicuo ma che mixando misure di sostegno e politiche attive non è impossibile da fronteggiare.
Ci sarebbe molto altro da raccontare e da apprendere sulle strategie di adattamento degli italiani a quest’inedita crisi in diversi campi (sanità, scuola, ecc.) e ovviamente — prevengo l’obiezione — so benissimo che insieme al grano sarà cresciuto in questi mesi anche tanto loglio ma bisogna innanzitutto convincersi che nella difficile opera di ricostruzione post-virus non saranno sufficienti né un SuperPiano né un Deus ex machina. Prima viene la società, poi la politica.