LA (SOTTO)MISSIONE DEI SOTTOSEGRETARI
Nel nome una (sotto)missione. C’è qualcosa di più sotto di un sottosegretario? Un sottaceto, una sottocultura, una sottomarca, un sottoproletario, un tizio sottoterra (Six Feet Under), un sottobosco, un sottoprodotto, un sottovalutato, un sottoscala? I prefissi (da quello telefonico a quello linguistico) sono tutto, segnano il nostro comunicare. Al femminile, poi, è ancora peggio, l’equivoco è sotto gli occhi: la sottosegretaria sarà mica quella che fa le fotocopie alla segretaria?
Così capiamo quanto siano superflue le polemiche sui coadiutori del ministro: il sottosegretario leghista all’Istruzione, Roberto Sasso, ha citato Dante ma era Topolino; succede. Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri del M5S, ha fatto confusione tra «libici» e «libanesi»; capita. La senatrice della Lega Stefania Pucciarelli, sottosegretaria al ministero della Difesa, ha scritto frasi sui social che evocano la discriminazione razziale; acqua passata.
Un sottosegretario è, per definizione, un sottoccupato e più i ministri saranno all’altezza, più i sottosegretari saranno relegati al sottogoverno. La loro è un’attività sottodimensionata, spesso sottovuoto spinto.
C’è chi cerca il paradiso nella sottomissione (come paventa Michel Houellebecq), alcuni sottosegretari si accontentato di un po’ di sottopotere.
Le gaffe
Cita Dante ma era Topolino, un altro scambia i libanesi con i libici