«Il Congo sapeva della missione»
Scontro diplomatico con il Congo, e con l’Onu, sulla morte dell’ambasciatore Attanasio, del carabiniere di scorta e del loro autista. «L’ambasciata italiana avvertì Kinshasa». La replica: «Venne a dire che non partiva più».
Alla fine è riuscito a farli sorridere ancora una volta con quel suo fraseggiare che — racconta chiunque l’abbia conosciuto — trasmetteva buonumore. Al termine della cerimonia funebre per Luca Attanasio, presieduta dall’arcivescovo di Milano Mario Delpini, dagli altoparlanti del campo sportivo di Limbiate vengono diffusi un paio di messaggi vocali che l’ambasciatore aveva mandato dall’Africa agli amici della sua cittadina d’origine. Fino a un attimo prima si erano succeduti al microfono testimonianze e messaggi di persone a vicine a lui e alla famiglia, poi all’improvviso quella parlata brillante e grondante entusiasmo. Per un istante c’è chi non capisce, poi tra le centinaia di presenti — debitamente distanziati — si diffondono sorrisi e persino qualche risatina nel sentire «il Luca» che da Kinshasa racconta con «orgoglio e con sollievo» di essere riuscito a rimpatriare 300 italiani: «Taaac! Sono appena partiti tutti — dice allegro e autoironico con cadenza lombarda — se no perdevo il posto, ragazzi». E poi è ancora la sua voce, in un altro messaggio, a far mescolare lacrime e sorrisi: «Ai miei amici e alle loro famiglie, ai piccoli e ai grandi, alle belle donne e a voi bei signori: baci e amore da parte mia e di Zakia. Ciao».
Le misure di sicurezza sanitaria hanno imposto una partecipazione contenuta, ma non meno di 400 persone hanno comunque riempito a scacchiera il terreno sintetico e la piccola tribuna del centro sportivo della cittadina brianzola in cui è nato e cresciuto «il Luca», come era chiamato da tutti qui l’ambasciatore Attanasio, morto lunedì scorso in una foresta del Congo. Ci sono le bandiere, i gonfaloni, i rappresentanti delle istituzioni con le fasce tricolori, ma ci sono soprattutto amici, vicini di casa, compagni di gioventù con i quali il diplomatico non aveva mai smesso di mantenere i contatti.
«Troppo breve è stata la tua vita eppure si può offrire il bene più prezioso senza che il tempo lo consumi», dice nell’omelia l’arcivescovo Delpini, unica voce nel silenzio. E poi si sofferma sull’impegno umanitario di Attanasio, immaginandolo in un dialogo con Dio in cui il giovane ambasciatore spiega: «Vengo da una terra in cui la vita non conta niente, dove si muore e non importa a nessuno».
In prima fila c’è la moglie Zakia Seddiki, con la madre e la sorella sempre vicine. Più tardi, al cimitero, dopo una preghiera recitata dai rappresentanti della comunità islamica, rimane in piedi a lungo — senza mai venire meno alla sua compostezza — per ricevere il saluto di centinaia di persone che hanno conosciuto e amato il suo Luca.