Il Pd e la scelta della vice donna In pole D’Elia e Serracchiani
La nomina all’assemblea di metà marzo. Orlando ancora nel mirino per il doppio ruolo
L’appuntamento è fissato il 13 e il 14 marzo quando si terrà l’Assemblea nazionale del Pd. In quei giorni il Nazareno avrà una vicesegretaria donna. E la novità è che è già partito un derby fra Cecilia D’Elia, di origine lucana, portavoce della Conferenza delle donne democratiche e assai vicina a Nicola Zingaretti, e Debora Serracchiani, oggi deputata e presidente della commissione Lavoro di Montecitorio, ma espressione della minoranza essendo stata una delle animatrici, al precedente congresso, della candidatura di Maurizio Martina.
Di certo tutto dipenderà dalle valutazioni che farà il segretario. Toccherà a Zingaretti, infatti, decidere se avere accanto una vicesegretaria vicina alle sue posizioni o pacificare il partito e scegliere una numero due che rappresenti le minoranze. Nel primo caso la scelta è probabile che ricada sulla D’Elia, ma circolano anche i nomi di Marianna Madia, Roberta Pinotti e Paola De Micheli. Per la minoranza la favorita sembra essere Serracchiani, in subordine Alessia Morani, infuriata per la non riconferma nella squadra di sottogoverno. Non a caso Morani lamenta: «Orlando non può rimanere al suo posto».
Un pezzo di partito e le donne in testa continuano a sollevare la questione del doppio incarico di Andrea Orlando, vicesegretario e ministro del Lavoro, blindato da Zingaretti. «A suo tempo la De Micheli si è dimessa, non vedo perché non debba farlo anche Orlando» insiste Morani. Sbotta anche Giuditta Pini, fedelissima di Matteo Orfini: «Perché Orlando non ritiene opportuno che si apra almeno il dibattito? Detto questo, c’è un’altra questione: statuto alla mano, solo uno dei vicesegretari ha funzioni vicarie...». Al Nazareno si preferisce non rispondere. Anche perché le questioni aperte sono diverse: la vicesegreteria, la guerra fra le correnti, il congresso. E i democrat vicini a Zingaretti si mostrano colpiti dalle parole di Lorenzo Guerini, che proprio sul Corriere ha invocato una gestione collegiale. «Non ci fidiamo — dicono —. Base Riformista, la corrente di Guerini e Lotti, vuole logorare Zingaretti, lo fa ogni giorno. E poi al congresso candiderà Bonaccini. L’obiettivo è il rientro di Renzi. Ecco, noi ci opporremo in ogni modo». Nel frattempo c’è anche chi sceglie una nuova vita oltre il partito. Così, dopo Pier Carlo Padoan che ha lasciato il Parlamento per approdare alla presidenza di Unicredit, e dopo le dimissioni da deputato di Martina nominato special advisor e vicedirettore generale della Fao, tocca a Marco Minniti dire arrivederci al Pd. L’ex ministro dell’Interno guiderà Med-Or, fondazione del gruppo Leonardo che avrà il ruolo di «mediatore economico, industriale e culturale» fra l’Italia e i Paesi di un’area vasta. Quando l’assemblea di Montecitorio darà il via libera alle dimissioni di Minniti, alla Camera subentrerà Eva Avossa, seconda alle Politiche del 2018 nel collegio plurinominale Campania 2-03. Oggi Avossa è vicesindaca di Salerno e viene considerata molto vicina alla famiglia De Luca.
Toccherà a Zingaretti decidere se avere una numero due della sua area o della minoranza