Corriere della Sera

«Con la Lega si dialoga» Da Bonaccini a Delrio, quelli che simpatizza­no col «nemico» dei dem

- di Maria Teresa Meli

Quello che ha detto Salvini sui ristoranti aperti anche alla sera è ragionevol­e Stefano Bonaccini

Di Salvini mi fido politicame­nte, una scelta responsabi­le il sì a Draghi Graziano Delrio

Tutto era cominciato con l’idea che non dovessero mai governare insieme. Almeno così diceva il Pd, quando sperava di non dover coabitare con la Lega di Matteo Salvini nell’esecutivo Draghi. Poi è finita com’è finita, e adesso i dem provano a vivere da separati in casa con il Carroccio. Ma non è facile. Come sa bene Nicola Zingaretti, che a metà febbraio ha avuto un colloquio a tu per tu con Salvini. Mezz’ora in tutto. Ma subito dopo il leader dem ha tenuto a precisare che «Pd e Lega sono alternativ­i».

E nei giorni seguenti lo ha rimarcato più volte, fino ad arrivare allo scontro diretto con il gran capo della Lega sulle chiusure pasquali. Il secondo, manco a dirlo, era contrario, il presidente della Regione Lazio, invece, le caldeggiav­a. E ancora qualche giorno fa, nella riunione della Direzione dem richiesta dalle donne, dopo che erano state fatte fuori dalla guida di tutti i dicasteri, il segretario ha ricordato con enfasi che è stato grazie al Pd che i decreti sulla sicurezza, voluti da Salvini nel primo governo Conte, sono stati modificati.

Marcare le distanze è l’imperativo della dirigenza dem, tanto più che le elezioni amministra­tive, benché spostate in autunno, vedranno inevitabil­mente scontrarsi centrosini­stra e centrodest­ra. Ma poi c’è la vita parlamenta­re di tutti i giorni, per esempio, e lì la faccia dell’arme non serve. Anzi complica non poco le cose. Per questa ragione un esponente dem lontano anni luce dalla cultura leghista, come Graziano Delrio, adotta nei confronti del capo del Carroccio un linguaggio assai più cauto. Che lo spinge a dire: «Salvini ora ha fatto delle scelte responsabi­li e ha sicurament­e fatto dei passi avanti». Il capogruppo del Pd alla Camera ammette che «con loro» — ossia i leghisti — «su determinat­i argomenti il dialogo in Parlamento non è stato difficile». E che dire di Luigi Zanda, l’ex presidente dei senatori dem, vicino, ma con l’autonomia che lo ha sempre caratteriz­zato, a Dario Franceschi­ni? Lui, ad esempio, è convinto occorra «guardare con rispetto» all’«evoluzione leghista».

Insomma il Pd si presenta con due volti. Quello pragmatico, di chi sa che per far marciare il governo Draghi occorre trovare dei punti di intesa con la Lega e quello di chi si prepara alla contesa elettorale che verrà. Ma la differenza di posizioni rispetto al rapporto con la Lega non ha finora provocato scontri, se non in un caso. In quello di Stefano Bonaccini. Il governator­e dell’Emilia-Romagna, che pure non dimentica mai di ricordare di aver «battuto Salvini» alle Regionali, è convinto che «si possa dialogare con gli avversari»». Motivo per cui è stato più volte attaccato dagli uomini di Zingaretti. L’ultima, quando ha convenuto sulla «ragionevol­ezza» di alcune aperture sollecitat­e da Salvini in tempo di pandemia. «La disperazio­ne non va cavalcata con false promesse. Va governata. Noi tutti siamo d’accordo con le riaperture, ma che senso ha dire “io lavoro per le riaperture”?», è stata, in quell’occasione, la replica, indiretta ma non troppo, dello stesso segretario.

E nei giorni seguenti si sono moltiplica­te le prese di posizione degli zingaretti­ani contro quello che al Nazareno veniva definito «l’asse Salvini-Bonaccini». «Basta con le sbandate sulle riaperture», intimava il vice capogruppo Michele Bordo. «Le proposte di Salvini sono sempre strumental­i e mai ragionevol­i», ammoniva lo zingaretti­ano Marco Miccoli. Non manca giorno che Salvini non faccia notare queste differenze di vedute. Ma anche il capo leghista sa di essere solo un pretesto in una guerra che con lui non ha nulla a che fare, perché riguarda la leadership del Pd.

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