Genovese e le ragazze per le feste «Scelte da una struttura organizzata»
Milano, selezionate dai suoi collaboratori. Dovevano essere magre, belle e pronte a drogarsi
Giovani, belle, preferibilmente magre e senza forme eccessivamente evidenti, pronte a drogarsi in qualsiasi momento: dovevano essere così le ragazze per essere ammesse a Terrazza sentimento. Per trovarle tra social e discoteche, e poi portarle a letto volenti o nolenti, Alberto Genovese ha messo in piedi una struttura operativa che non lasciava nulla all’improvvisazione, in cui ciascuno dei suoi uomini aveva un compito preciso, esattamente come nelle sue startup di successo che ha venduto a peso d’oro.
Dopo quattro mesi di indagini della Squadra mobile della polizia, coordinate dal pm milanese Rosaria Stagnaro e dall’aggiunto Letizia Mannella, dall’inchiesta emerge come l’imprenditore 43enne applicasse le sue riconosciute capacità manageriali alle feste e alle vacanze da sogno che con la cocaina riempivano la sua esistenza da quando nel 2015 si era allontanato dalla gestione delle sue società. Già dopo l’arresto del 6 novembre per la violenza ad una modella di 18 anni avvenuta un mese prima, molte voci dicevano che tutti nella corte dei miracoli che gozzovigliava alle sue spalle sapevano che Alberto Genovese drogava e violentava brutalmente le donne nella sua camera da letto presidiata da un bodyguard. Ora il quadro descritto dai detective guidati da Marco Calì, ricostruisce una struttura con un «modello operativo», «efficace ed organizzato», che negli ultimi anni è stato applicato in «maniera seriale» con ciascuna ragazza. Funzionava così: le giovani «venivano individuate e contattate» dai collaboratori di Genovese, Alessandro Paghini e poi Daniele Leali (indagato per spaccio di droga) e selezionate «secondo caratteristiche fisiche costanti» e con l’abitudine di drogarsi. Perché «Alberto Genovese prediligeva circondarsi di persone» che dividessero con lui la droga che lui stesso pagava. Dopo averle valutate in foto, se corrispondevano «al suo gusto estetico», venivano invitate nell’attico a due passi dal Duomo di Milano o alle sontuose vacanze di Ibiza e Mykonos. Facevano la fila per esserci, sia per incontrare personaggi famosi e imprenditori di successo, sia perché a Terrazza sentimento si beveva bene e si mangiava meglio, c’era buona musica e soprattutto stupefacenti gratis a volontà. Genovese ne selezionava una e la invitava per una striscia di coca in camera da letto dove, quasi sempre, si finiva a fare sesso estremo. C’era chi accettava il rapporto, ma anche chi, sostiene l’accusa, veniva resa incosciente con una sostanza in grado di vincere ogni resistenza permettendo a Genovese di dar fondo a tutta la sua bestialità.
Javier Verastegui Melgarejo, il peruviano factotum e autista della Lamborghini dell’imprenditore, era l’ombra del suo datore di lavoro. Organizzava operativamente le feste più importanti, reclutava i camerieri, procurava le bevande: «Ricevevo una lista di persone autorizzate da Daniele Leali (...). Genovese si preoccupava principalmente che la casa fosse accogliente e che lo staff avesse le caratteristiche di un vero club». Gli ospiti potevano drogarsi, ma «non fare sesso. Quello era prerogativa solo del padrone. Si occupava della logistica anche di Villa Lolita ad Ibiza, teatro di alcune violenze sessuali, dove «tutto era completamente a carico di Genovese che ha pagato a tutti ogni cosa, perfino le sigarette», e dove, come a Milano, la droga girava nei piatti portati da «Alberto o da amici di Alberto come Daniele Leali». Il factotum giura di non aver mai visto Genovese «aggredire una ragazza, anche perché lui ha sempre rapporti molto aperti» con le sue fidanzate. Intende dire che Genovese può tradirle (loro no) e imporre rapporti a tre con un’altra donna.
La giovane età delle ospiti era un imperativo categorico. Paghini: «Diceva che una donna dopo i 24 anni è vecchia. Quindi le ragazze dovevano essere giovani, e per me sempre che avessero almeno 18 anni, e che fossero disponibili ad usare sostanze stupefacenti (...) perché sapevo che per Alberto era una caratteristica importante». Con una di loro poteva chiudersi in camera «anche per due o tre giorni, alternando droga e sesso, droga e sesso. Ha sempre sostenuto che tutti dovevano fare lo stesso uso di droga che faceva lui. Dovevano raggiungere il suo stesso stato. A volte non usciva dalla stanza finché noi non eravamo già alterati dalle droghe e molto vicini al suo stato. E così immagino facesse anche con le ragazze». Solo che, per la polizia e la Procura di Milano, almeno sei di loro sono state violentate ferocemente. È un «malato nella testa», messaggia Paghini a una delle donne. «Se si va a casa di Alberto e non c’è Alberto ci divertiamo cento volte di più. Cioè una volta che lui si chiude in stanza e gli abbiamo dato in pasto il pesce quotidiano, la tipa giusta... per quelle ore ti diverti». Ma quando il padrone riemerge dai suoi orrori bisogna tornare a lavorare per lui.
Le foto e gli inviti
Dopo averle valutate in foto arrivava l’invito Durante i party solo lui poteva avere rapporti