«Lolita Lobosco», un successo che si basa sui soliti vecchi cliché
Il 2021 di Rai1 è iniziato sotto il segno della fiction al femminile. Dopo Mina Settembre, ancora maggior successo sta riscuotendo Le indagini di Lolita Lobosco, serie in 4 episodi tratta dai romanzi di Gabriella Genisi, che racconta le vicende di un vicequestore che da Legnano torna a Bari, la sua città natale. E ancora una volta, l’affresco della serialità generalista è quello di un Sud macchiettistico, inzuppato di luoghi comuni evidentemente rassicuranti.
Interpretata da Luisa Raineri, la protagonista (solo il nome riecheggia Nabokov) è una detective dai modi decisi, dotata di ironia e sensualità mediterranea, naturalmente single (con familiari
LA MOSSA DEL DIAVOLO Kim Basinger e amici che la invitano ad «accasarsi» al più presto) e capace di tenere a bada e destreggiarsi in un mondo di colleghi maschi. Indaga su violenze e omicidi dai contorni torbidi, fatti di relazioni clandestine, sullo sfondo di un meridione popolato di stravaganze, personaggi tragicomici al limite tra legale e illegale, brigadieri maldestri (Montalbano docet) e omaggi-cliché scontati come le orecchiette e «Il cuore è uno zingaro».
La prima indagine in cui si trova coinvolta Lolita si sviluppa tra Natale e Capodanno, tra cenoni, fuochi d’artificio e improvvisi ritorni di fiamma per una vecchia storia d’amore. Nei flashback di Lolita bambina, la serie strizza apertamente l’occhio a L’amica geniale, a quell’immaginario di un Sud di piccoli crimini e vita da strada ormai consolidato.
Fiaccata da una recitazione in cui spicca un’inflessione dialettale pugliese quasi grottesca (stile Lino Banfi), a salvare Le indagini di Lolita Lobosco è l’ambientazione, la cartolina semplificata ma travolgente di Bari, del suo lungomare e dei suoi quartieri; la regia è di Luca Miniero, l’artefice di Benvenuti al Sud, che si conferma abile nel trovare la formula di una valorizzazione del territorio che va oltre la qualità complessiva della scrittura.