I 92 anni, l’Atalanta, i 5 km a piedi «Il sogno? Rivoluzionare la sanità»
Il farmacologo: serve più prevenzione, il servizio pubblico impari dai privati a ridurre le spese
Non fatevi ingannare dal titolo del libro in uscita in questi giorni: «Il futuro della nostra salute». E non lasciatevi fuorviare dall’età: a novantadue anni si può ancora essere rivoluzionari. Silvio Garattini riesce ad essere amabile e cortese mentre spara a palle incatenate contro l’inerzia della politica che trascura la ricerca e non ha adeguato il sistema sanitario all’invecchiamento della popolazione, scaricando l’emergenza sui Pronto soccorso, lasciando il medico di base sepolto dai ricettari e dalla burocrazia, adattandosi più ai modelli di consumo che alla centralità della salute e ai bisogni del malato.
In questi giorni lo chiama il mondo: vaccini, farmaci, ricerca, medicina. Risponde a tutti, a patto che non giochi l’Atalanta: novanta minuti di tifo e di abbandono. Per il resto, studio e ricerca, ricerca e studio. Così da sessant’anni. Ogni giorno al Mario Negri, l’eccellenza della farmacologia, di cui è stato il fondatore. Non so fare altro, dice. Lavoro e dialogo, per mantenere in attivo il cervello. Poi cinque chilometri a piedi, per tenere i riflessi in forma: a 92 anni ha appena rinnovato la patente. E tanti sogni, perché anche da vecchi bisogna sognare, spiega.
L’ultimo sogno ha preso forma nei mesi drammatici del Covid-19, quando dalle scarse terapie intensive e dalla trascurata medicina sul territorio gli italiani hanno giudicato l’efficienza di un sistema e di una storica riforma, strapazzata da partiti e appetiti, snaturata e spolpata come un osso, a rischio naufragio tra tagli di risorse e montagne di sprechi.
Garattini ha cominciato a scrivere soffiando via un po’ di ombre da quello che per lui e gli italiani resta un patrimonio da difendere, la riforma del 1978 che definisce il sistema sanitario nazionale bene insostituibile per il Paese, ma che da un po’ di tempo sta collassando, snaturata da una serie di cambiamenti, condizionata da burocrazie e miopie politiche, svilita dal consumismo sanitario e dalle rigidità amministrative, messa in crisi dal privato che ha la necessità di realizzare profitto (e con l’accreditamento delle strutture ci riesce benissimo).
La pandemia ha sollevato il tappeto sotto al quale erano sepolte da anni le inadempienze del sistema, compresa la ricerca, sottovalutata o peggio ignorata dalla politica, che l’ha confinata nella retroguardia tra i Paesi europei: spendiamo in ricerca l’1,3 per cento del Prodotto lordo contro il 2,4 della media europea e il 3,5 della Germania; i miliardi investiti sono 22 in Italia, 44 in Gran Bretagna, 48 nella Corea del Sud, 49 in Francia. Questo spiega la fuga di tanti ricercatori e l’impoverimento di talenti che penalizza il Paese.
Garattini mette a profitto la sua esperienza di scienziato e farmacologo e stila un promemoria essenziale: senza un intervento rivoluzionario il Servizio sanitario nazionale non riuscirà a competere con il privato che oggi detiene il 31,3 per cento dei posti letto accreditati, percentuale minore nel caso dei letti per acuti (23,5%), simile al pubblico nelle lungodegenze (51,4%) prevalente nell’ambito della riabilitazione (72,9%). La situazione è resa più evidente per certi tipi di analisi diagnostiche che nelle strutture private costano meno del ticket ospedaliero. «Questo vuol dire che il servizio pubblico può ridurre le sue spese imparando dal privato...».
Nel sogno di Garattini il Servizio sanitario nazionale è una grande Fondazione, capace di applicare alla gestione amministrativa le stesse regole concesse ai privati, senza perdere la caratteristica no profit. Allo Stato resterebbe il ruolo di indirizzo e di controllo della spesa. Con l’indicazione di puntare sulla prevenzione, «priorità di un servizio sanitario pubblico al passo coi tempi, secondo cui la cura delle malattie è un fallimento quando la malattia è evitabile». Per questo andrà potenziata la medicina scolastica e saranno revisionati i Lea, livelli essenziali di assistenza. Centralità del paziente al primo posto, ma stop ai rimborsi delle cure termali e delle pratiche per la medicina alternativa, prive di evidenza scientifica. Meno contraddizioni poi, sulla lotta al fumo e all’alcol: se lotta deve essere, lo Stato non deve incassarne i proventi della vendita. Come le ludopatie: per un efficace contrasto non si devono promuovere i giochi d’azzardo.
Per Garattini il Pronto soccorso è il primo fronte da puntellare: dove si affollano troppi pazienti e patologie si scaricano le inefficienze del sistema. Per decongestionarli e ribaltare la filosofia ospedalocentrica la strada è quella dei presidi sul territorio: giuste le Case della salute, dove i medici di base possono lavorare in pool, con pediatri, psicologi e telemedicina. Così si restituisce un ruolo ai medici di famiglia: dovranno dialogare con l’ospedale e creare un filtro capace di evitare il ricovero inutile e costoso. Basta infine con il doppio binario contrattuale: anche il medico di base sarà dipendente del servizio sanitario nazionale.
Capitolo vecchiaia. I dati anagrafici sono inesorabili: nel 2030 quasi venti milioni di italiani avranno più di 65 anni. La spesa sanitaria per curare le loro malattie rese croniche dalla moderna medicina, assorbe il 70% del budget. È ovvio che una buona vecchiaia riduce le spese, ma con 3 milioni di non autosufficienti la necessità di allungare la vita sana diventa un imperativo. Garattini è convinto che una svolta onesta, professionale ed efficientista può solo far bene a medici e ospedali: può anche creare nuovi posti di lavoro e rilanciare un settore strategico come la sanità, decisivo per il futuro, da Nord a Sud. L’Italia in questi mesi ha dimostrato la sua inadeguatezza nella ricerca: «Non ci possiamo sorprendere se i vaccini li scoprono altrove e noi restiamo fanalino di coda».
Serve una riforma della riforma, conclude Garattini. Questo però va oltre il sogno, in Italia rischia di essere una mission impossible. Ma c’è un capitale umano da difendere nella sanità pubblica, di cui è legittimo essere orgogliosi. Se non si sogna, se la salute smette di migliorare, anche la società non migliora.