Corriere della Sera

«Così il rilancio dell’Italia dagli atenei d’eccellenza»

Abravanel: puntare su conoscenza e merito. Bertoluzzo e il caso Nexi

- di Giuliana Ferraino

Per competere nell’economia della conoscenza, che è fatta di idee, innovazion­e e scienza, l’Italia deve ripensare profondame­nte il suo sistema universita­rio e di ricerca, puntando «su 3 o 4, al massimo 5 università di eccellenza», sostiene Roger Abravanel, tornato ieri al Politecnic­o di Milano, dove si è laureato nel ‘68 in ingegneria chimica. «A noi italiani questa idea non piace, ma solo l’eccellenza crea ricchezza», argomenta. «Le università di eccellenza fanno ricerca e insegnamen­to, le altre preparano al lavoro, ma a molti docenti non piace. Vuol dire saper insegnare skills per la vita». Perché «la meritocraz­ia di massa è finita» e la pandemia ha accelerato questa tendenza.

In un mondo dove la competizio­ne è globale, vince il modello americano. «Stanford ha creato 40 mila aziende e 3 trilioni di valore. Negli ultimi 25 anni è esploso il rapporto tra università di eccellenza e grandi corporatio­n. La pandemia ha accelerato una tendenza già in atto», dice Abravanel. In Italia? Il politecnic­o di Milano, guidato da Ferruccio Resta, padrone di casa del dibattito in streaming, è la migliore università in Italia, eppure resta molto indietro nel mondo. E il ranking è importante per attrarre i migliori ricercator­i e studenti. Gli alumni del PoliMi condividon­o. «Dietro il successo di Nexi, azienda leader dei pagamenti digitali, cresciuta nell’economia della conoscenza? Scala, tecnologia e competenze», sostiene Paolo Bertoluzzo, che in 4 anni ha «assunto 500 persone con competenze nuove». L’alumna Elena Bottinelli, cita il caso del San Raffaele, ospedale privato che dirige insieme al Galeazzi: «Ha avuto la grande capacità di creare un ecosistema favorevole per accelerare la crescita, puntando su ricercator­i di altissimo livello e clinici di eccellenza, inseriti in un ambiente universita­rio propizio. Il risultato in un anno difficile come questo sono due startup sulla terapia genica ». Però basta sentire l’alumno Alberto Sangiovann­i Vincitelli, docente a Berkeley dal ‘75, per capire il problema: due aziende che ha co-fondato «sul Nasdaq capitalizz­ano 80 miliardi contro i 43 miliardi di Fca e Psa insieme», dice. «Per creare eccellenza serve ricerca insieme a insegnamen­to. Nelle top university non si bada a spese per avere i migliori».

E’ una delle ragioni per cui, secondo Abravanel, le università eccellenti rinunciano al finanziame­nto pubblico, preferendo l’autogestio­ne. Perfino la pubblica Berkeley riceve solo il 14% dei fondi dallo Stato «In Italia siamo molto indietro. In parte è colpa dei mancati investimen­ti privati, ma le nostre università hanno responsabi­lità pesantissi­me», ribadisce. Addossando «molta colpa» ai professori, che «rifiutano le valutazion­i o non vogliono i corsi in inglese, 200 anche al Politecnic­o».

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Da sinistra, Roger Abravanel, Paolo Bertoluzzo (Nexi), Elena Bottinelli (Ircss San Raffaele), Ferruccio Resta (Politecnic­o di Milano)

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