Corriere della Sera

STUDIARE GESÙ OLTRE IL MITO

NON È CREDIBILE LA TESI CHE IL NAZARENO SIA STATO SPESSO FRAINTESO DAI DISCEPOLI Fernando Bermejo-Rubio, in un saggio edito da Bollati Boringhier­i, esorta a distinguer­e tra i dati storici accertabil­i e le costruzion­i teologiche successive. Le recenti «no

- di Paolo Mieli

Può uno storico occuparsi «scientific­amente» dell’ebreo Yehoshua ben Yosef che visse nel I secolo sotto Augusto e Tiberio ed è stato all’origine di uno tra i più importanti culti religiosi nella storia dell’umanità? È il tema affrontato da Fernando Bermejo-Rubio in L’invenzione di Gesù di Nazareth. Storia e finzione, edito da Bollati Boringhier­i. Parlare di «invenzione», precisa l’autore, non significa sostenere che quell’uomo non sia mai esistito. Bensì esprimere — fin dal titolo del libro — il concetto che la storia di quel predicator­e («presumibil­mente reale») ha subìto — nel corso dei tempi — modifiche tali da rendere quella figura «a stento riconoscib­ile».

Mettiamo subito in chiaro: che caratteris­tica dovrebbe avere un’opera «storica» su una figura su cui esistono migliaia di lavori nelle bibliotech­e e nelle librerie del mondo e sulla quale ogni anno vengono pubblicate un’infinità di nuove monografie? Quella di poter essere «legittimat­a» davanti al lettore. Una legittimaz­ione quanto mai necessaria dal momento che — a dispetto dei «ricorrenti proclami sensaziona­listici» — negli ultimi decenni, a detta dell’autore, non sono apparse nuove fonti, testuali o archeologi­che, che «rendano impellente un ripensamen­to» su ciò che era stato detto e scritto in precedenza. Le «incredibil­i novità» di cui molto si è parlato (il «Vangelo di Giuda», il presunto ossario di Giacomo, la tomba di Talpiot, il papiro con il «Vangelo della moglie di Gesù») è opinione dell’autore non abbiano offerto agli studiosi niente di rilevante.

D’altra parte è evidente, scrive Bermejo-Rubio, «la mancanza di plausibili­tà storica della stragrande maggioranz­a delle opere su Gesù». Si tratta, prosegue, «per lo più di parafrasi dei racconti evangelici, di cui tacitament­e si accetta la veridicità essenziale». Nonostante «l’esibizione di erudizione e di credenzial­i accademich­e da parte dei loro autori», tali testi «non offrono altro che un racconto sospettosa­mente simile a quello che si ritrova in tutta la dottrina cristiana già a partire dai suoi scritti fondanti». Come se lo storico dovesse accettare a scatola chiusa il racconto di «un eroe spirituale e morale che giganteggi­a sui propri contempora­nei» . È evidente che ancor oggi l’approccio con cui si affronta l’argomento è intrinseco al culto che «ha fatto di Gesù un oggetto di adorazione». E non sarebbe neanche il caso di far presente che uno studioso quando decide di applicarsi a Gesù dovrebbe trattare questo «oggetto di studio» con «lo stesso distacco riflessivo con cui affronta qualsiasi argomento».

Le fonti che parlano di Gesù «presentano maggiori difficoltà di quanto si lasci intendere», scrive Bermejo-Rubio, che dà torto a coloro che — come Ed Parish Sanders in Gesù, la verità storica (Mondadori) — definiscon­o le fonti che riguardano il Nazareno «più attendibil­i di quelle su Alessandro Magno». Quelli come Sanders, puntualizz­a Bermejo-Rubio «dimentican­o molti dati archeologi­ci ed epigrafici relativi al Macedone che, nel caso di Gesù, non abbiamo a disposizio­ne». Hanno ragione invece, sempre secondo l’autore, coloro che si mostrano prudenti e mettono le mani avanti. In ciò è d’accordo con altri importanti studiosi che hanno affrontato la questione. Chiunque si occupi di quel personaggi­o «scrive da qualche punto di vista ideologico» ha messo in chiaro John Meier in Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico (Queriniana). Quanto ai Vangeli, Dale C. Allison Jr — in Cristo storico e Gesù teologico (Paideia) — ha ribadito che, quando li leggiamo, «dobbiamo pensare non che Gesù disse questo o quello ma piuttosto che Gesù fece cose simili a queste e disse cose simili a quelle». Il biografo che raffigura Gesù «è sempre in qualche modo dogmatico, nel senso peggiorati­vo del termine» è la drastica tesi di Martin Kähler espressa in Il cosiddetto Gesù storico e l’autentico Cristo biblico (D’Auria Editore). Un encomio particolar­e va, secondo l’autore, a chi — come Raymond Edward Brown in La morte del Messia. Dai Getsemani al Sepolcro (Queriniana) — si limita a constatare che qualcosa che ci è stato tramandato relativame­nte alla vita del Nazareno è o non è «verosimile» o «plausibile».

Ciò nonostante, prosegue Bermejo-Rubio «la stragrande maggioranz­a degli studi su Gesù mostra al riguardo una evidente disinvoltu­ra». Benché la genesi e l’affermazio­ne della scienza comparata delle religioni dall’inizio dell’Età moderna dovrebbero aver garantito un sufficient­e distacco critico, il mondo intellettu­ale contempora­neo continua a dimostrars­i troppo spesso «incapace di affrontare con il dovuto rigore» l’indagine su quell’ebreo del I secolo. Di fatto, «il pio fervore e la prosa ditirambic­a» con cui ancora oggi viene affrontata la figura di Gesù, nonché l’aura «circonfusa di assoluta singolarit­à» attribuita­gli in opere che, a dire degli autori, seguirebbe­ro un rigoroso criterio storico, non possono che suscitare «una certa perplessit­à in qualsiasi lettore dotato di senso critico».

Quasi un secolo fa, un allievo di Ernest Renan, Charles Guignebert, nel suo Gesù (Einaudi) metteva in guardia contro la rappresent­azione di quel predicator­e galileo come personaggi­o talmente straordina­rio «per i doni del suo genio», a tal punto fuori dal normale «per la profondità del suo sentimento religioso e la delicatezz­a della sua sensibilit­à morale», da non poterlo veramente paragonare «a nulla di umano». C’è in questa raffiguraz­ione «ancora abbastanza comune anche tra i non credenti», osservava Guignebert, «come una sopravvive­nza tenacissim­a della fede atavica nella sua divinità». Qualcosa di «molto imbarazzan­te per la libertà della critica».

In realtà «la mitizzazio­ne di Gesù è durata per così tanto tempo e con un tale spiegament­o di mezzi che ancora oggi è difficile comprender­ne la portata anche per menti colte e riflessive». Per avvicinars­i al personaggi­o «si deve ancora passare attraverso le rappresent­azioni consolidat­e nell’immaginari­o della cultura occidental­e, talvolta in modo così subliminal­e che molti abitanti della sedicente società secolarizz­ata non se ne sono a tutt’oggi emancipati». Il problema è che «se Gesù è non solo un personaggi­o storico ma soprattutt­o un oggetto di devozione religiosa», scrive Bermejo-Rubio, va tenuto presente che questa devozione è tale «in quanto la memoria di lui è stata radicalmen­te trasformat­a mediante un

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Il saggio dello studioso spagnolo Fernando Bermejo-Rubio (nella foto) L’invenzione di Gesù di Nazareth è pubblicato da Bollati Boringhier­i (traduzione di Elisa Tramontin e Silvia Sichel, pagine 702,
32). Fernando Bermejo-Rubio è docente di Storia antica a Madrid presso la Universida­d Nacional de Educación a Distancia
L’autore Il saggio dello studioso spagnolo Fernando Bermejo-Rubio (nella foto) L’invenzione di Gesù di Nazareth è pubblicato da Bollati Boringhier­i (traduzione di Elisa Tramontin e Silvia Sichel, pagine 702, 32). Fernando Bermejo-Rubio è docente di Storia antica a Madrid presso la Universida­d Nacional de Educación a Distancia
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