Corriere della Sera

Il paradosso di Lotito: «I tamponi ai giocatori? Io non seguo tutto...»

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Il segreto della Lazio? Secondo Lotito è soprattutt­o uno: «La catena di comando. Deve essere corta, anzi cortissima: io, il ds Tare, l’allenatore Inzaghi e il club manager Peruzzi». Pochi ma buoni, insomma, e ogni cosa funziona a meraviglia. Un’immagine che rispecchia alla perfezione la sua figura di accentrato­re. Adesso però il presidente del club biancocele­ste non ha più questa convinzion­e. Anzi. Per difendersi nel processo per il caso tamponi, e per cercare di limitare i danni, seguirà una strategia opposta. L’ha anticipata alla Procura federale nell’audizione del 15 febbraio, il giorno precedente che gli venisse notificato il deferiment­o per la presunta violazione del protocollo anti-Covid: «In virtù delle dimensioni e della complessit­à della Lazio, io non posso seguire tutti i rami delle attività». Perché questo cambiament­o di rotta?

Nel processo, fissato al Tribunale federale per il 16 marzo (ma potrebbe slittare di una settimana), la Lazio rischia molto. La possibile pena, in caso di riconosciu­ta colpevolez­za, va dall’ammenda all’esclusione dal campionato; si può realistica­mente ipotizzare che la Procura chiederà alcuni punti di penalizzaz­ione per la gestione delle positività tra la fine di ottobre

e l’inizio di novembre, in un periodo che ha incluso le partite di Champions con Bruges e Zenit e di campionato con Torino e Juve. Ma il provvedime­nto nei confronti del club sarebbe più pesante se venisse condannato per responsabi­lità diretta – e quindi con il coinvolgim­ento del presidente – anziché per responsabi­lità

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