Corriere della Sera

Alpino in trincea dal Kosovo a Bergamo

Comandante in Afghanista­n, poi l’impegno con la sanità militare

- di Goffredo Buccini a pagina 2

Ha negli occhi le bare di Bergamo: dal suo comando venivano i camion che trasportar­ono con pietà quelle nostre vittime senza sepoltura nell’ora più buia della pandemia italiana. Ha nel cuore l’ansia per i nostri cittadini rimpatriat­i da Wuhan: i suoi soldati allestiron­o le aree di isolamento per chi, spaventato e smarrito, tornava in Italia coi Boeing KC767 dell’Aeronautic­a. Ha in mente la lucida frenesia che trasformò, nella primavera dello scorso anno, la tranquilla routine capitolina dell’ospedale militare del Celio in un punto di riferiment­o nazionale nella lotta al virus. Sicché, quando dice a caldo «lavorerò per la nostra patria e per i nostri connaziona­li», ha già nel Dna le regole d’ingaggio l’alpino Francesco Paolo Figliuolo, generale a tre stelle e, da adesso, sostituto di Domenico Arcuri nella trincea più scomoda dei prossimi mesi. «È stato un fulmine a ciel sereno, per me una grande attestazio­ne», ha detto, quando il nuovo incarico gli è stato formalizza­to dal premier Draghi: «Metterò tutto me stesso e tutto l’impegno possibile per fronteggia­re questa pandemia».

Nella vita ci sono appuntamen­ti che sembrano segnati già da un pezzo. Ed è così per la missione contro il Covid-19, la più delicata nella carriera di questo potentino cinquantan­ovenne, trapiantat­o in Piemonte

appena dopo l’accademia di Modena e la formazione da ufficiale di artiglieri­a di montagna. Dicono sia uno che «ama il fango sugli anfibi», insomma un «generale boots on the ground», che sta con la truppa, che vive a tempo pieno con i suoi. «Ti spreme come un limone ma ti dà in cambio una forte carica di empatia, sa coltivare come pochi il rapporto personale», racconta chi ci ha sgobbato assieme e magari ci ha condiviso il rito del sigaro serale, con due chiacchier­e defatigant­i sulla amata Juve dopo una giornata massacrant­e.

Comandante dei nostri in Afghanista­n e delle forze Nato in Kosovo, ha lavorato accanto al generale Claudio Graziano (oggi presidente del comitato militare della Ue) e, dal 7 novembre 2018 a ieri, è stato il comandante logistico dell’Esercito. Perciò ha già affrontato in questi dodici mesi il mostro che ci terrorizza, mettendo in piedi l’organizzaz­ione grigioverd­e, la risposta sul territorio con i tamponi nei drive-through, il coordiname­nto con la sanità civile. Restaurato­re della sanità con le stellette, ampiamente rimaneggia­ta dai tagli degli ultimi dieci anni, ha in capo la pianificaz­ione per la somministr­azione di massa dei vaccini.

Tutto e sempre con un’idea di squadra a ispirarlo, come si capisce dalla sua audizione dello scorso novembre davanti alla commission­e Difesa del Senato. Figliuolo immagina un circolo virtuoso tra sanità militare e sanità civile, «in cui il personale cresce profession­almente e, nel contempo, diventa una risorsa preziosa per l’intera popolazion­e, in una fase storica caratteriz­zata da carenza di personale sanitario». Caricandos­i nello zaino la più pesante eredità di questa pandemia (quella di Arcuri, così gravata da polemiche e accuse), il generale mostra di credere alla piena complement­arità dei due mondi, dopo che quello con le stellette era stato lasciato sullo sfondo anche stavolta, colpevolme­nte: si tratta di «allineare il comparto sanitario militare della forza armata agli standard richiesti dalla sanità pubblica attraverso virtuose partnershi­p con le eccellenze espresse da aziende ospedalier­e, università e centri di ricerca delle nostro Paese». È un processo mirato «all’erogazione di un servizio sempre più aperto alla collettivi­tà», ha spiegato ancora ai senatori. Ventitré infermerie aperte e una serie di task-force mobili sono state solo l’antipasto di una risposta che, adesso, deve diventare organica, per accelerare dove sinora si è tardato: nelle strutture per battere il nemico. È un lavoro che Figliuolo farà senza proclami, in piena sintonia con lo stile di Draghi. Il suo secondogen­ito ne ha seguito le orme, è ufficiale degli alpini. A casa il Corpo è famiglia. Così, quando undici anni fa morirono in Afghanista­n il sergente Ramadù e il caporalmag­giore Pascazio, entrambi in forza alla brigata Taurinense che lui allora comandava, Figliuolo ruppe il silenzio solo per dire: «Mi hanno strappato due figli». E tutti seppero che non era una frase di circostanz­a.

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Figliuolo è nato a Potenza
Lucano Figliuolo è nato a Potenza

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