POLITICI E SPORT, ALMENO UN PO’ VA CONOSCIUTO
Gli sportivi, i campioni devono parlare di politica? Una domanda che conosce una sola risposta: sì, eccome se devono. Il tema è da rovesciare, perché il problema nasce quando è il politico a interessarsi di sport, materia affascinante, ma non sempre facile. Bisogna saperne, capirne, almeno un minimo averlo studiato. Quanti politici, per nomina piovuta dall’alto, si sono improvvisati «ministri dello sport», andando incontro più all’autorete che al gol politico. Ha reso di più, facendo spesso bella figura, LeBron James, marziano del basket, quando con la forza delle sue idee si è messo a parlare di Trump, di razzismo, dei metodi violenti di certa polizia americana, di Covid e vaccini: il titolo lo dà sempre, è sul pezzo. Ibrahimovic sostiene che l’attivismo politico di LeBron sia esagerato, che gli sportivi devono essere più riservati, quanto a politica. Strano, sorprendente, considerando la storia di Ibra, ora arricchita da milioni di dollari e di euro, battezzata però da una infanzia di sofferenze, cattive compagnie e violenze nei ghetti di Malmoe. Anche Ibra sa fare opinione, difatti va a Sanremo e non solo per cantare, darà il meglio di sé riflettendo prima e parlando poi. Un pensiero a Muhammad Ali, a quale e quanta politica abbia fatto lontano dal ring... Molto meno convincenti sono le prestazioni sportive di certi politici, responsabili di leggi tormentate. Hanno preso in mano lo sport sapendone poco o nulla, invadendo settori, come Coni e federazioni, che hanno una vita consolidata da decenni. Da ritoccare, da riformare, per carità, ma non da asfaltare. Il politico deve governare lo sport che (non) si fa a scuola, nel sociale, tra i dilettanti. Aiutando e sostenendo figli e genitori, educarli entrambi all’attività sportiva. È qui che deve agire la politica con la sua forza, con i suoi infiniti poteri, con l’arte della diplomazia. Così il politico responsabile fa gol o canestro.