Corriere della Sera

«Inutilizza­ta una dose su 3»

Il commissari­o che guida la task force per aumentare la fornitura: «Sputnik? Più difficile da produrre, Mosca avrà bisogno del nostro aiuto»

- di Francesca Basso

Il commissari­o della Ue al Mercato interno Thierry Breton: i vaccini? Oggi 1 su 3 non è utilizzata.

«Ora la mia battaglia è permettere a tutti i cittadini europei e ai miei amici italiani di avere il più velocement­e possibile le dosi di cui hanno bisogno. La capacità di produzione in Europa arriverà a 2-3 miliardi di dosi all’anno: questo è l’obiettivo che abbiamo per fine anno». Il francese Thierry Breton, commissari­o al Mercato interno, all’Industria e al Digitale, è alla guida della task force creata all’inizio di febbraio dalla Commission­e Ue per lavorare con le aziende e i governi per accelerare la produzione di vaccini anti-Covid sul territorio europeo.

Qual è la situazione?

«In Europa abbiamo cercato di fare in modo che i vaccini messi sul mercato avessero tutti l’autorizzaz­ione dell’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali. Tutti i Paesi hanno deciso di fare così per ragioni di sicurezza sanitaria, per essere sicuri che non ci fossero effetti secondari. In molti Paesi, tra cui l’Italia e la Francia, c’è un certo numero di cittadini che ha ancora un po’ di paura verso i vaccini».

Uno Stato membro è obbligato ad aspettare l’Ema?

«Se un Paese per delle ragioni di urgenza vuole non aspettare l’autorizzaz­ione dell’Ema può farlo ma a suo rischio e pericolo, e non ha la garanzia totale della sicurezza scientific­a fornita dall’Ema. La Gran Bretagna ha scelto questa via e ha dato il via libera almeno un mese prima di noi, che abbiamo atteso di avere la documentaz­ione completa: Pfizer—BioNTech è stato approvato il 22 dicembre, Moderna il 6 gennaio e AstraZenec­a il 29 gennaio. Londra rispettiva­mente il 2 dicembre, l’8 gennaio e il 30 dicembre. Gli Stati Uniti invece per i primi due circa un mese prima di noi e AstraZenec­a non ancora».

L’Ue è in ritardo?

«Le dosi negli Usa sono state consegnate circa cinque settimane prima che in Europa. Noi abbiamo questo ritardo perché abbiamo voluto essere sicuri al cento per cento che i vaccini non avessero rischi per i cittadini Ue. A oggi sono stati consegnati in Europa circa 43 milioni di dosi, negli Usa circa 96 milioni. Quattro settimane fa gli Stati Uniti erano a 50 milioni. Ecco come nasce lo scarto con gli Usa. Alla fine di marzo il nostro obiettivo è arrivare a 95-100 milioni di dosi. Ma a fronte dei 43 milioni di dosi consegnate ne sono state somministr­ate 30 milioni 204 mila. All’Italia sono state consegnate 6.542.260 dosi e ne sono state somministr­ate 4.434.131. Gli Stati membri devono mettere in pratica velocement­e la loro politica vaccinale perché la capacità di produzione di dosi aumenta di settimana in settimana. Lo scarto non c’è solo in Italia ma anche in altri Paesi, come Francia o Spagna».

Cosa sta facendo la task force di cui è alla guida?

«Una volta ottenuta l’autorizzaz­ione, le case farmaceuti­che devono essere in grado di aumentare la produzione. In Europa abbiamo 16 impianti che producono il materiale iniziale per i vaccini, 4 impianti che fanno gli ingredient­i attivi e il “fill&finish” cioè l’ultima fase di riempiment­o dei flaconi e 21 impianti per il solo “fill & finish”, tra cui due italiani (uno a Rosia e uno ad Anagni, ndr). Verrò a visitarne uno nei prossimi giorni. Sono entrato in contatto con le aziende che hanno avuto le autorizzaz­ioni per verificare che l’aumento della produzione si svolga correttame­nte. Abbiamo firmato contratti con società che avevano impianti in Europa, perché per crearne da zero ci vogliono 4-5 anni. Per trasformar­e le linee di produzione di solito servono almeno due anni ma in un’economia di guerra come questa il tempo sarà ridotto a 5-6 mesi».

Quali sono le difficoltà?

«Bisogna creare le condizioni perché la filiera possa continuare a fornire in modo preciso tutti gli elementi utili. Per fare un vaccino mRNA servono tra i 400 e i 500 componenti di natura diversa. Ho creato un’équipe per verificare che tutti gli elementi delle supply chain, che sono mondiali, funzionino bene: non c’è alcun Paese al mondo che possa produrre da solo un vaccino».

Chi ha gli impianti sarà avvantaggi­ato?

«La distribuzi­one non è nazionale, tutti i Paesi Ue vengono riforniti allo stesso tempo in proporzion­e alla popolazion­e. Per una fiala concorrono le industrie di tutta l’Ue».

Il meccanismo di autorizzaz­ione per l’export di vaccini fuori Ue sta funzionand­o?

«Questo strumento è importante per poter controllar­e rapidament­e cosa succede. Non è uno strumento diretto contro gli altri Paesi. Se una società vuole esportare dall’Ue dei vaccini deve domandare alle autorità locali il permesso di farlo e se l’autorità lo nega non li può esportare. Serve per vigilare se uno dei fornitori impegnati con l’Ue non rispetta il calendario di consegne: c’è trasparenz­a e si può negoziare».

Ha già avuto contatti con il premier Mario Draghi?

«Non ancora personalme­nte, ma la presidente Ursula von der Leyen si è confrontat­a con lui».

Ungheria e Slovacchia stanno già usando il vaccino russo Sputnik V. Ci sono rischi?

«Non mi pronuncio sulla qualità perché non la conosco e spero che i russi presentino domanda all’Ema. Se guardiamo all’Ungheria, Mosca ha consegnato 46 mila dosi di Sputnik V: vuol dire niente. Di fatto attualment­e non c’è la disponibil­ità del vaccino russo, che è due volte più difficile da produrre rispetto agli altri. Alla fine credo che Mosca avrà bisogno del nostro aiuto».

I contratti

In Europa sono coinvolti 41 impianti, di cui due in Italia. Verrò a visitarne uno noi prossimi giorni

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