Corriere della Sera

L‘insostenib­ile leggerezza dell’elettrone

- di Massimo Sideri

Leggendo il libro di Vittorio Pellegrini (Il lampo dell’elettrone, Codice edizioni) si può rimanere vittime di un rammarico: come ho potuto vivere fino ad oggi senza conoscere l’affascinan­te storia dell’elettrone? L’elettrone è la forza che trascina l’Universo, è la ruota dell’atomo senza cui le leggi della Natura sarebbero rimaste lente. La ragione è relativame­nte semplice: per scriverla ci voleva Pellegrini, non un semplice divulgator­e, ma uno scienziato che di questa storia fa parte. È grazie alla sua passione che la storia dell’elettrone diventa anche la storia della scienza e della tecnologia informatic­a. Senza non avremmo avuto i transistor, non potremmo sperare sui computer quantistic­i e non avremmo mai potuto leggere di Atomino Bip-Bip, uno dei tanti personaggi geniali di Romano Scarpa. Senza gli elettroni non avremmo l’elettricit­à e senza la sua comprensio­ne vivremmo ancora nell’era dell’olio di balena: la Nantucket di Moby Dick sarebbe la Silicon Valley. L’irresistib­ile fascino dell’elettrone — che andrebbe promosso tramite questo libro nelle scuole e nelle università — ha anche una sua poesia: se il protone è il Paradiso, solo l’elettrone ha la potente gravità dell’Inferno dantesco. Ci si può smarrire nella scoperta del 1906 di Joseph John Thomson che frantumò la convinzion­e dell’indivisibi­lità dell’atomo scolpita nella pietra fin dai tempi di Democrito. Sarà questo uno dei mattoncini che scateneran­no il domino del Novecento insieme all’esplorazio­ne della radioattiv­ità di Marie Curie e alla rottura dell’atomo dell’uranio di Enrico Fermi. Nascerà in quel momento anche la fisica delle particelle subatomich­e, quelle del Cern, del Bosone di Higgs e della materia oscura. La scoperta dell’elettrone nelle leggi della Natura corrispond­e a ciò che Darwin scoprì alle Galapagos. Il libro di Pellegrini, uno dei massimi esperti di fisica della bidimensio­nalità e del grafene, è però anche qualcosa di più di un intelligen­te lavoro di storico. È un atto di amore per scienza e scienziati. Si racconta che nel 1978, mentre Arno Penzias e Robert Wilson ritiravano il premio Nobel, gli invidiosi dissero: «Non sanno nemmeno loro perché lo stanno ritirando». Penzias e Wilson nel 1965, senza cercarla, si erano imbattuti nell’impronta preistoric­a della nascita del cosmo: la prova del Big Bang. Lo scienziato non è colui che trova, è colui che cerca.

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