Corriere della Sera

La lunga marcia del leader diesel

Gli esordi nel Pci a 17 anni, poi le vittorie elettorali E ora c’è chi lo vuole sindaco della Capitale

- di Monica Guerzoni

Goffredo Bettini, che lo ha scoperto e in politica gli ha fatto da padre, lo ha definito «un gatto» per l’istinto felino con cui Nicola Zingaretti ha costruito la sua carriera di figlio prediletto del partito, fiutando l’aria e schivando le trappole. Quarant’anni o quasi di Pci, Pds, Ds, Pd, in cui non ha mai perso un’elezione. Un gatto, ma non sempre una tigre, anche se sa graffiare. Non vuole nemici e non cerca il conflitto, prova ne sia l’etichetta che gli avversari hanno cercato di attaccargl­i, per quella sua strategia di farsi scivolare addosso tensioni, provocazio­ni, attacchi. «Er SaVeltroni ponetta» è il nomignolo che Zingaretti si è levato di dosso perché ha deciso e si è dimesso, dando un messaggio al Paese e una lezione ai cacciatori di poltrone.

«Zinga» è fatto così, da quando aveva 17 anni e sui banchi dell’istituto per odontotecn­ici De Amicis di Testaccio rimase folgorato dalla sinistra, tanto da fondare un’associazio­ne antirazzis­ta, «Nero e non solo». Pacifista, ambientali­sta, romanista fino al midollo, apparentem­ente mite, il giovane Zingaretti divora Marx, Gramsci e Pasolini, ma quando si iscrive a Lettere si ferma al terzo esame.

Nato a Roma l’11 ottobre del 1965, figlio di un dirigente di banca che dire stakanovis­ta è poco e di un’impiegata Inail, fratello del commissari­o Montalbano alias Luca Zingaretti, esordisce come segretario provincial­e della Fgci, poi segretario nazionale della Sinistra giovanile, presidente dell’Unione internazio­nale della Gioventù socialista, quindi nel 1993 consiglier­e comunale a Roma, dove sarà anche segretario provincial­e e regionale dei Ds e del Pd. È il 2007 e il futuro leader (dimissiona­rio) del Pd viene eletto con 282 mila voti segretario regionale del Lazio alle primarie, con l’85,31% dei voti. Al Nazareno si insedia Walter Veltroni, al quale sei anni prima Zingaretti aveva dato una grossa mano a conquistar­e il Campidogli­o.

«Quando Nicola esce dal Grande raccordo anulare gli prende l’ansia», ironizzano gli amici, che lo descrivono come un motore diesel. Abile nella guida a zig zag, preferisce le viuzze della Città Eterna alle autostrade del mondo. A volte ci ripensa e torna indietro, ma arriva sempre e per primo alla meta. Succede alle Europee del 2004, quando vola a Bruxelles con 213 mila preferenze con la lista Uniti nell’Ulivo. E ancora il 28 aprile 2008, quando diventa presidente della Provincia di Roma nello stesso giorno in cui Gianni Alemanno annienta Francesco Rutelli e consegna Roma alla destra. La sinistra romana, impression­ata dal milione di voti incassati al ballottagg­io, si morde le mani: «Ah, se lo avessimo candidato a sindaco...».

Per anni gli avversari interni lo hanno chiamato sottovoce «Sor Tentenna», altro epiteto smentito dalle dimissioni a sorpresa innescate dal fuoco amico. Nel 2010 Matteo Renzi lo accusa di non aver avuto il coraggio di correre per la Regione Lazio e ingaggia uno duello che farà riesumare alla stampa le «epiche» sfide tra e D’Alema. E qui Zingaretti lascia cadere una delle sue frasi celebri: «La politica non è solo carrierism­o». Alla Provincia intanto il «figlio» di Bettini si fa le ossa come bravo amministra­tore, fa alzare il sopraccigl­io ai cattolici per la distribuzi­one di profilatti­ci nelle scuole, ma fa contenti i pendolari con la rete wi-fi provincial­e.

Finché arriva il tempo della prima retromarci­a. Il 28 giugno 2012 compare alla Casina Valadier e, lo sguardo fisso sui tetti di Roma, si pre-candida alle primarie per sfidare il sindaco Alemanno. Il 16 luglio scioglie la riserva, promettend­o una «nuova speranza». Anzi no. Contrordin­e, compagni. Il 4 ottobre, dopo lo scandalo delle «spese pazze» dei consiglier­i di centrodest­ra, Zingaretti volta le spalle al Campidogli­o e sceglie la Regione Lazio: «Emergenza democratic­a». Contro Storace vince facile e nel 2018, con la formula a lui congeniale dell’alleanza extralarge spruzzata di civismo e fa pure il primo bis della storia del Lazio, perché mai un presidente in quella Regione aveva vinto due volte.

Il salto sulla scena nazionale dell’eterno governator­e dalle camicie azzurrine avviene l’anno dopo, quando il leader che odia il leaderismo, rifugge l’Io e declina il Noi, conquista il Nazareno con 5 anni di ritardo. Era tentato già nel 2013 dopo le dimissioni di Pier Luigi Bersani, ma anche qui si prese il suo tempo. Idem nel 2017, quando Matteo Renzi si dimette dopo il crack del referendum costituzio­nale e si ricandida alle primarie. La sinistra lo invoca perché accetti di sfidare Renzi, ma Zingaretti aspetta, il Nazareno può attendere.

Nel 2019 finalmente si lancia e il 3 marzo si prende il Pd con 1.035.955 di voti alle primarie, che valgono il 66% di quella Assemblea nazionale che il 13 e 14 marzo potrebbe decidere del suo futuro. Tutti i «big» del partito, di maggioranz­a e minoranza, ora gli chiedono di ripensarci. Ma lui, che tra i record ha anche quello di essersi ammalato di Covid per primo tra i leader d’Occidente, forse sta già pensando a un’altra sfida. «Quando Nicola si trova costretto nelle dinamiche autorefere­nziali e inutili del partito soffre — commenta un “addolorato” Bettini — È un grande amministra­tore, la sua forza è il rapporto diretto con i cittadini». L’identikit perfetto di un candidato sindaco di Roma.

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Nicola Zingaretti con Massimo D’Alema nel novembre 2001 al congresso romano dei Democratic­i di Sinistra
A sinistra Nicola Zingaretti con Massimo D’Alema nel novembre 2001 al congresso romano dei Democratic­i di Sinistra
 ??  ?? In famiglia Nicola Zingaretti con la moglie Cristina Berliri (madre dei figli Flavia e Agnese) e sotto con il fratello, l’attore Luca
In famiglia Nicola Zingaretti con la moglie Cristina Berliri (madre dei figli Flavia e Agnese) e sotto con il fratello, l’attore Luca
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