«Ilva, offensivo il ricorso dei pm contro l’assoluzione»
Dal miliardo all’estero ai danni ambientali. La Corte d’Appello critica le accuse a Fabio Riva
La II Corte d’Appello di Milano, nel motivare la conferma dell’assoluzione dell’ex presidente del gruppo Ilva Fabio Riva dall’accusa di bancarotta, giudica il ricorso della Procura milanese non soltanto «infondato», ma anche viziato da «toni sarcastici di aperta disistima nei confronti del giudice» dell’assoluzione «e di altri soggetti del processo, ben oltre le ordinarie manifestazioni di dissenso nell’ambito di una pur accesa dialettica processuale, rasentando l’offensività».
In origine l’ex proprietario dell’acciaieria di Taranto, difeso dai legali Gian Paolo Del Sasso e Salvatore Scuto, aveva chiesto di patteggiare, ma la gup Maria Vicidomini aveva respinto l’intesa tra Riva e la Procura ritenendo troppo bassa la concordata pena di 5 anni, poi riproposti dai pm Stefano Civardi e Mauro Clerici nel rito abbreviato in primo grado, dove nel luglio 2019 la gup Lidia Castellucci assolse Riva «perché il fatto non sussiste»: fatto identico alla bancarotta Ilva per la quale zio e fratello di Fabio Riva, Adriano e Nicola, avevano invece già patteggiato 2 anni e mezzo nel 2017 e 3 anni nel 2018.
Ora i giudici d’appello Piffer-Gamacchio-Rinaldi lamentano che nell’accusa a Riva (aver cagionato il dissesto anche con «la sistematica omissione delle necessarie misure di tutela ambientale») «manchi la descrizione dettagliata della condotta» e «di come e quanto abbia inciso sul dissesto della società». Inoltre sarebbe «contrario alle più elementari norme» dare presupposti i reati ambientali ancora al vaglio del Tribunale di Taranto, dove i pm chiedono 28 anni per Riva.
Su un altro profilo, nel quale l’accusa valorizzava il patteggiamento di alcuni coimputati, i giudici obiettano che i pm di fatto «ci abbiano detto: “Se i coimputati hanno patteggiato, c’è bisogno di altro per provare il reato di Riva”? La risposta è sì: c’è bisogno della prova. Onere che non è stato assolto dai pm».
E per la bancarotta neppure rileva 1 miliardo e 200 milioni di euro evasi e accumulati negli anni dai Riva in trust esteri: soldi che, dopo il sequestro del 2013, la famiglia il 2 dicembre 2016 accettò di far rientrare in Italia e di farsi confiscare (con annesso patteggiamento)
Per gli stessi fatti lo zio e il fratello avevano già patteggiato due anni e mezzo e tre anni
nella transazione con l’ufficio del procuratore Francesco Greco annunciata in diretta Facebook dall’allora premier Matteo Renzi. Qui i giudici, oltre a condividere l’argomento assolutorio già del gup (distrazioni «compiute 10-20 anni prima della dichiarazione di insolvenza del 15 dicembre 2016») circa la bancarotta preferenziale per distrazione come reato di pericolo concreto, aggiungono comunque la «configurabilità della bancarotta “riparata”» dalla transazione intervenuta prima dell’insolvenza.