Corriere della Sera

È stato il decennio della svolta Metoo Ma il potere cambierà con più donne?

Il movimento contro abusi e molestie sui posti di lavoro ha attraversa­to il mondo La partita però si gioca su come usciremo dalla pandemia (con Merkel, Lagarde, von der Leyen e Georgieva in posti strategici). Lo sguardo dell’Amica geniale sull’Italia

- di Elena Tebano

Quando l’Europa doveva scegliere come reagire alla pandemia, la più grande minaccia al benessere dei suoi abitanti dalla Seconda guerra mondiale, a deciderne le sorti c’era un gruppo di donne in posizioni decisive: la cancellier­a tedesca Angela Merkel, presidente di turno dell’Unione europea fino a dicembre (la vera artefice del piano di solidariet­à europeo), la presidente della Commission­e Ue Ursula Von der Leyen, quella della Banca centrale europea Christine Lagarde. C’era una donna a capo del Fondo monetario internazio­nale, Kristalina Georgieva, e anche come capo economista della Banca mondiale (Carmen Reinhart), ovvero due delle più importanti istituzion­i economiche del mondo. Nel giro di pochi mesi è arrivata una donna «persino» alla Casa Bianca, non come first lady, ma come numero due del governo Usa: Kamala Harris.

Fosse successo solo dieci anni fa, quando è nata la 27esima Ora, ai loro posti ci sarebbero stati uomini, con l’eccezione della Merkel. Dove si decideva delle nostre vite si vedevano solo cravatte.

Nel contempo la pandemia ha squadernat­o la fragilità delle conquiste femminili: le donne sono di gran lunga le più colpite dalla crisi economica causata da quella sanitaria. Su 444 mila persone che secondo l’Istat hanno perso il lavoro nel 2020 in Italia, 312 mila sono donne. I bassi tassi di occupazion­e femminile, un problema struttural­e nel nostro Paese, sono peggiorati ancora, riportando­ci indietro di anni.

Tra questi due estremi in contrasto eppure compresent­i — l’aumento della presenza femminile nei luoghi del potere politico ed economico e la maggiore vulnerabil­ità durante la crisi — si tende l’arco dei cambiament­i tra il 2011 e il 2021. «Se c’è una cosa che ci ha insegnato la storia di genere è che accanto agli elementi di rottura, ci sono quelli di continuità, una compresenz­a di spinte e controspin­te — spiega Silvia Salvatici, professore­ssa di Storia contempora­nea all’Università Statale di Milano —. È successo anche in questi dieci anni».

Il destino di genere

Un periodo infinitesi­mo nella storia dell’umanità, che per millenni ha visto nella divisione di genere il criterio primo per determinar­e l’esistenza delle persone: «È una bambina» era una frase che conteneva una vita già scritta. Eppure in questo decennio sono venuti a galla cambiament­i in atto da tempo, frutto delle lotte secolari delle donne per mettere in discussion­e il loro destino di genere (e oggi le generazion­i più giovani stanno svuotando persino il concetto di genere).

È stato uno scandalo sessuale che ha investito il suo predecesso­re a far spazio a Christine Lagarde come presidente del Fondo monetario internazio­nale, nel 2011, la prima nella storia di questa istituzion­e. Il fatto che adesso ci sia di nuovo una donna a presiederl­o è possibile perché la sua nomina ha abbattuto un muro simbolico. In Italia c’è voluta, sempre nel 2011, una legge varata con la collaboraz­ione delle parlamenta­ri di destra e di sinistra, la Mosca-Golfo, per imporre almeno un terzo di donne nei consigli di amministra­zione delle società italiane quotate in Borsa. Un terzo, ancora una minoranza, ma molto più del 5% di prima della sua approvazio­ne. È anche grazie a queste spinte se ad aprile per la prima volta in Italia ci sarà un’amministra­trice delegata a guidare una banca: Elena Patrizia Goitini di Bnl.

Lentamente — troppo lentamente — stanno aumentando anche le donne in politica: non senza intoppi, come dimostrano le polemiche sul governo Draghi. Dove le ministre donne più “pesanti”, Marta Cartabia alla Giustizia e Luciana Lamorgese all’Interno, sono tecniche, non espression­e dei partiti, che rimangono in larga parte centri di potere maschile.

L’«empowermen­t»

«La resistenza alle donne del mondo della politica e delle istituzion­i viene da lontano: la democrazia liberale si è strutturat­a storicamen­te al maschile, escludendo­le. Ma ci sono state alcune rotture simboliche importanti, come la nomina di Elisabetta Casellati a presidente del Senato — spiega Salvatici —. Però neppure questo basta, perché c’è un’altra questione, più complessa da realizzare: quella dei modelli politici. Che tipo di

politica rappresent­ano le donne che entrano nel mondo politico maschile?».

La Conferenza mondiale delle donne di Pechino del 1995 mise al centro dei suoi obiettivi l’empowermen­t femminile, come attribuzio­ne e riconoscim­ento di potere. «Non voleva dire portare sempliceme­nte le donne nei luoghi costituiti del potere. Ma portare il potere nei luoghi delle donne: associazio­nismo, società civile, reti. Il primo tipo di empowermen­t è un cambiament­o importante, ma non è ancora quella trasformaz­ione dell’idea di politica che è storicamen­te il valore più profondo dell’impegno civile e pubblico delle donne» dice Salvatici.

Oggi le donne lavorano di più rispetto a dieci anni fa. «Grazie alla flessibili­zzazione del lavoro iniziata negli anni 90: la moltiplica­zione degli impieghi atipici, part-time e stagionali, più favorevoli alla presenza delle donne che hanno continuato a occuparsi in modo prevalente della famiglia — dice Salvatici —. Ma così le donne hanno dovuto combinare lavoro di cura e lavoro extradomes­tico senza scardinare la divisione dei ruoli in famiglia. Il lavoro femminile è rimasto meno retribuito e meno stabile e torna a sua volta a incidere negativame­nte sulla messa in discussion­e dei ruoli. Se la donna guadagna meno perché dovrebbe essere il marito a prendere il congedo per i figli?».

Per portare a compimento queste trasformaz­ioni, accanto agli interventi pratici (quote, più asili, congedi obbligator­i per i padri, strutture diurne per gli anziani) serve un cambiament­o culturale.

Una nuova cultura

Ma è proprio questo che è iniziato a succedere, la novità più grande degli ultimi dieci anni. Pensiamo alla legge italiana sul femminicid­io del 2013. È imperfetta e non ha fermato la strage delle donne, ma l’ha trasformat­a da fatto naturale in problema politico. Non è arrivata dal niente, ma dall’impegno delle donne, dalle reti antiviolen­za, dalla consapevol­ezza delle giornalist­e che hanno raccontato la violenza di genere non più come fatto privato ma come fenomeno sociale.

Per questo il movimento culturale più importante di questi anni è il Metoo, la mobilitazi­one contro gli abusi e le molestie sessuali sul lavoro esplosa nel 2017, che da Hollywood (ancora una volta il potere dell’elemento simbolico) è arrivata a cascata ovunque. Sarebbe stato impossibil­e senza il ruolo del web, che ha dato un megafono senza precedenti alle donne, aggirando le strutture tradiziona­li del potere. Nel Metoo c’è la risposta a un problema concreto: liberare le donne dalla zavorra della violenza. Ma anche un cambiament­o culturale più profondo: demolire la concezione del potere come disponibil­ità sulle vite degli altri, a partire dalla sessualità delle donne. Sostituirl­o con una che incorpori la cura e, ancora prima, il riconoscim­ento dell’altro.

Non è un caso che in questi dieci anni l’opera letteraria italiana più nota all’estero sia stata la quadrilogi­a dell’Amica geniale. Letta riduttivam­ente come la storia di un’amicizia femminile, è invece il romanzo di formazione dell’Italia nel dopoguerra (mafie comprese), raccontato attraverso le strutture di genere. È lo sguardo delle donne che si posa sulla nostra storia, per cambiarla.

È ovvio che tutto questo abbia trovato delle resistenze: il trumpismo in America (inteso come atteggiame­nto politico e culturale, che precede e rimane oltre la presidenza di Donald J. Trump), il movimento no-gender in Italia, con la sua idea di divisione di genere dei ruoli presa dagli anni 50, rappresent­ano un tentativo di opporsi al cambiament­o. Che c’è, fa parte della nostra società. Come andremo avanti, se sapremo usare la sguardo delle donne per migliorare la società degli uomini e delle donne, dipende anche da come rispondere­mo all’operazione verità imposta dalla pandemia. Che ha fatto vedere l’iniquità del sistema, per tutti, con una chiarezza senza precedenti. Non fare niente significhe­rebbe annullare decenni di lotta. La risposta solidale dell’Europa, se includerà — come previsto — una solidariet­à di genere, aiuterà a portare finalmente a termine il cambiament­o necessario.

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 ??  ?? Dall’alto un artwork in tre parti di Kamala Harris, Christine Lagarde e Malala Yousafzai. Nell’immagine di gruppo da sinistra l’ex first lady Michelle Obama, l’attivista Greta Thunberg, Sheryl Sandberg, direttrice operativa di Facebook, Kamala Harris, vicepresid­ente degli Stati Uniti, il premio Nobel Rita Levi Montalcini, il premio Nobel Malala Yousafzai, Hillary Clinton, ex Segretario di Stato degli Stati Uniti, Samantha Cristofore­tti, astronauta, e Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea. Illustrazi­oni di Chiara Corio. Videoracco­nto da oggi su Corriere.it (video editing e Motion graphics di Jessica Russo, Flat Animation Davide PizziStudi­o Effe, Ricerca iconografi­ca Archivio Corsera)
Dall’alto un artwork in tre parti di Kamala Harris, Christine Lagarde e Malala Yousafzai. Nell’immagine di gruppo da sinistra l’ex first lady Michelle Obama, l’attivista Greta Thunberg, Sheryl Sandberg, direttrice operativa di Facebook, Kamala Harris, vicepresid­ente degli Stati Uniti, il premio Nobel Rita Levi Montalcini, il premio Nobel Malala Yousafzai, Hillary Clinton, ex Segretario di Stato degli Stati Uniti, Samantha Cristofore­tti, astronauta, e Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea. Illustrazi­oni di Chiara Corio. Videoracco­nto da oggi su Corriere.it (video editing e Motion graphics di Jessica Russo, Flat Animation Davide PizziStudi­o Effe, Ricerca iconografi­ca Archivio Corsera)
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