Largo a Mama Samia, unica leader in Africa Hassan sostituisce Magnafuli, il presidente negazionista morto (si dice) per Covid. Cambio di rotta?
Tanto per non cambiare ha parlato a una ristretta platea di soli uomini, e camminato in mezzo a una pletora di generali, nel giorno forse più importante della sua carriera se non della vita: Samia Suluhu Hassan, 61 anni, ha giurato venerdì alla State House di Dar es Salaam, davanti a un paio di ex presidenti e a qualche ministro, uno hijab rosso sul capo e il Corano nella mano destra. Gli occhi di 60 milioni di tanzaniani, e quelli di tutte le africane, sono puntati su di lei. E’ la prima donna a guidare il suo Paese, e in questo momento è l’unica leader in un continente che conta cinquanta e passa nazioni (ancora) governate da uomini.
La signora di Zanzibar, laurea in Amministrazione Pubblica e master in economia all’università di Manchester, ha trovato le parole giuste per un’inaugurazione triste: «Ho una ferita nel cuore, gli altri giuramenti sono stati momenti di felicità, oggi è un giorno di lutto». Hassan prende il posto del suo coetaneo John Magnafuli, l’ex insegnante figlio di contadini scomparso alcuni giorni fa «per arresto cardiaco». L’annuncio
ufficiale lo ha dato lei stessa, e la versione ufficiale non esclude che il presidente «negazionista» sia morto proprio di Covid-19.
«Il bulldozer», com’era chiamato dai tempi in cui dirigeva il ministero dei Lavori Pubblici, aveva dichiarato che la pandemia si doveva sconfiggere in Chiesa, con le preghiere più che con le mascherine. Soltanto poche settimane prima di morire aveva ammesso che la pandemia era un pericolo vero.
Da un fervente cattolico a una musulmana moderata: la Tanzania per i prossimi quattro anni si affiderà a una donna pragmatica e discreta. Probabile un cambio di politica sull’emergenza Covid (il bulldozer non ha mai messo in atto un piano vaccinale). Se il predecessore aveva uno stile irruento, Hassan assomiglia piuttosto a un aratro paziente.
Con un marito ex funzionario al Dipartimento dell’Agricoltura e quattro figli (l’unica femmina siede nel Parlamento locale di Zanzibar), la nuova presidente ha lavorato tra l’altro a un progetto Fao quando aveva trent’anni. Deputata dal 2010 per il partito al governo dal 1961, ministra dal 2014, come vice presidente dell’Assemblea Costituente Hassan ha dimostrato le sue doti di concretezza e diplomazia. In un Paese che negli ultimi anni ha visto restringersi gli spazi di libertà e democrazia, Mama Samia (così è chiamata in Tanzania, con un’espressione che evoca rispetto più che considerazioni familiari o di genere) non ha mai ostacolato apertamente lo stile populista-autoritario di Magnafuli. Anche se molti non hanno dimenticato il suo gesto nei confronti del leader dell’opposizione, quando Tundu Lissu rimase ferito in un attentato (di cui ha accusato il governo): l’allora vice andò a trovarlo in Kenya all’ospedale. Una cortesia e un atto di riconoscimento inauditi per la situazione politica in Tanzania. Con il ricordo di 16 proiettili in corpo, Lissu nel 2017 è andato in esilio in Belgio. Nell’ottobre scorso il ticket bulldozer-aratro ha vinto elezioni molte contestate e in odore di brogli. L’emergenza pandemia, ma anche lo stato della democrazia nel grande Paese alle pendici del Kilimangiaro, saranno i primi banchi di prova per Mama Samia. Sarebbe naturalmente improprio vedere in lei, dall’altra parte dell’Oceano, un incrocio tra la Nobel per la pace liberiana Ellen Jonson Sirleaf e una sorta di Jacinda Ardern in versione africana. Ma le aspettative sono alte. E sono in molti a credere che lo stile della signora di Zanzibar possa costituire un benefico cambio di marcia rispetto alle spacconate e all’imprevedibilità dell’uomo che pure lei rimpiange come «un maestro».
Una donna sola al potere in Africa, sia pure quasi «per caso» (la collega etiopica SahleWork Zewde ha una funzione più che altro simbolica). Nei Paesi vicini ci sono state brevi esperienze femminili ai piani alti dello Stato. In Uganda una vice presidente, incredibile a dirsi, fu costretta alle dimissioni per gli strascichi di un divorzio molto combattuto.