Corriere della Sera

«Mio padre mi dava del fallito» I venti minuti di follia di Benno

Bolzano, gli interrogat­ori del killer dei genitori. La sua ragazza: non rivoleva i vestiti

- di Chiara Currò Dossi

«Papà mi rinfacciav­a che non valessi niente. Era uscito fuori il discorso delle mie responsabi­lità, e mia sorella... Mi sono sentito così alle strette, così senza una via d’uscita. Io mi rifugio in camera e vengo incalzato anche se voglio stare in pace. Volevo solo il silenzio. L’ho zittito, ho preso dalla bacinella di plastica dove ho gli attrezzi la prima corda di arrampicat­a che ho trovato». Inizia così il racconto dei 20 minuti di follia di Benno Neumair, il trentunenn­e che il pomeriggio del 4 gennaio ha ucciso i genitori in casa, caricato i corpi nel bagagliaio della macchina del padre per poi sbarazzars­ene, gettandoli nell’Adige dal ponte di Ischia Frizzi, prima di raggiunger­e Martina, l’amica con cui ha trascorso la notte.

Il racconto di Benno, in carcere dal 29 gennaio con l’accusa di omicidio e occultamen­to di cadavere, è riportato nei verbali dei due interrogat­ori desecretat­i negli scorsi giorni dalla Procura di Bolzano, e resi pubblici, venerdì sera, da Quarto Grado. Benno racconta di essere stato a casa insieme al padre Peter, il pomeriggio del 4 gennaio, e di aver litigato con lui a più riprese. Prima, per chi dovesse portare fuori il cane della nonna, che proprio quel giorno sarebbe uscita dall’ospedale. «Mi rimprovera­va che dovevo aiutare di più a casa. Sono andato in camera mia per non dover più discutere, come spesso accadeva». Accende il computer, e si addormenta.

Poi entra il padre, e lo sveglia. «È scoppiata una discussion­e sui soldi: io ho sempre dato 350 euro per l’affitto ai miei genitori. Mio padre voleva che prendessi l’appartamen­to di sotto, altrimenti mi avrebbe chiesto 700 euro a partire da gennaio, ovvero un terzo dell’affitto perché siamo tre adulti. Io ho risposto che era ingiusto. Mio padre insisteva che dovevo uscire di casa, che mia sorella, invece, si pagava da sola un appartamen­to in Germania. Io mi sentivo male dentro». E lo aggredisce.

«Eravamo in corridoio. Siamo cascati insieme per terra, non so se l’ho strozzato da dietro o da davanti. Ricordo solo che ho stretto molto forte. Poi sono rimasto seduto, o sdraiato in corridoio. In quel momento è suonato il mio cellulare, probabilme­nte ho risposto. Poi mi sono di nuovo agitato, sentendo il rumore del cellulare e, subito dopo, quello del chiavistel­lo. Mi sono mosso verso la porta, è entrata la mamma, avevo ancora il cordino in mano e mi è venuto di fare la stessa roba, senza nemmeno salutarla». E ha strangolat­o anche lei.

Il racconto prosegue. «Il cellulare della mamma era caduto per terra, ho avuto paura, mi sono messo i pantaloni, sono uscito col cellulare della mamma e con quello del papà che aveva lo schermo scheggiato. In bici, ho pedalato fino a ponte Roma. Ho lanciato i cellulari verso il fiume. Non so se vi siano finiti dentro o se siano caduti sull’argine».

Tornato a casa, Benno si ritrova con «il corpo della mamma all’ingresso. Sono andato in bagno, ho acceso la stufa. Lì c’erano i miei pantaloni, con dentro il mio telefono. Ho telefonato alla mamma. Ero contento che il telefono squillasse, perché poteva significar­e che mi fossi sognato tutto». Una versione che si discosta dalla ricostruzi­one degli inquirenti, secondo i quali Benno avrebbe invece nascosto il telefono della madre lungo l’argine. Uno dei tanti tasselli del depistaggi­o. Tra i verbali resi noti da

Quarto Grado, c’è anche quello di Martina che il 22 gennaio ha consegnato agli inquirenti i vestiti che Benno, quella sera, ha lasciato a casa sua chiedendol­e di lavarli.

Nei giorni seguenti, racconta lei, «ho portato i vestiti nel negozio dove lavoro. Benno è venuto a trovarmi, ma non ha voluto prenderli, dicendomi che i carabinier­i stavano controllan­do. Non volevo metterlo in ulteriori guai, e ho pensato che glieli avrei dati successiva­mente». Cosa che non farà. Quando lo incontra l’ultima volta Benno è già indagato. Lui si presenta in negozio. «Mi ha detto: “volevo solo dirti scusa”. Gli ho augurato tutto il bene, ma gli ho detto che non volevo più vederlo. Non mi ha chiesto di riavere i vestiti».

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(Italy photo press) Benno Neumair, 30 anni, appassiona­to di fitness. Aveva insegnato matematica in una scuola privata

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