SÌ, AI RAGAZZI SERVONO SFIDE PIÙ GRANDI
Già venti anni fa, in uno dei tanti seminari sull’adolescenza, mi sono trovato con Paolo Crepet a parlare del voto ai sedicenni, in una cittadina del Veneto. Mai come in questo periodo i nostri figli avrebbero bisogno di sfide, di impegni mai pensati, e di proposte «più grandi di loro». È stata questa, infatti, nel seminario di cui sopra, l’accusa che quasi l’intera assemblea ci ha riservato all’idea del voto ai sedicenni. La patente a sedici, sì! Ma il voto? Siete fuori di testa. Esattamente! Mentre noi andavamo discutendo e spiegando il perché della proposta, il «fuori di testa» mi ha particolarmente seccato. Noi, diventati vecchi e mai adulti, pensiamo i giovani come la pensavano i nostri nonni. Anzi peggio, perché abbiamo smesso di farli. Vergognoso! Mentre a Torino Maria di dodici anni si impicca, stufa e nauseata della vita, noi siamo ancora qui a domandare a nostro nipote in seconda media se ha preso la sufficienza in matematica.
Per causa nostra, nella testa dei ragazzi viaggiano le caricature della vita e della morte, bulimie di desideri che poi si vomitano addosso, moine con il gatto insieme al volo dal grattacielo, il gelato con la nonna e lo spinello in borsa. L’ombra che, secondo Jung, ognuno di noi si porta dentro, in un attimo ha trasformato i sogni in spazzatura. E noi, davanti a questo spaventoso fenomeno, analizziamo la spazzatura. Dobbiamo rompere, in fretta, l’infernale meccanismo che ha identificato ciascuno di noi, come fosse un piccolo supermercato. Abbiamo dentro tutto. Bisogna aver dentro tutto. Nei cosiddetti normali c’è un tutto ordinato, negli altri un tutto disordinato. Da zero a dieci anni giriamo per il supermercato. È bello vedere, toccare, sentire, annusare, perdersi tra gli scaffali dei giocattoli e quelli degli alimentari. A dieci anni, esci e sparito il supermercato, ti viene incontro qualcosa che si chiama vita e che nessuno ti ha spiegato cosa possa essere.
Lasciamoli tra i loro giocattoli o nelle loro stanzette. Sono piccoli. C’è sempre tempo per far capire cos’è la fatica, il dolore, l’ingiustizia, la solitudine, la scuola, i professori, i compagni, la malattia, la morte.
Noi vecchi la pensiamo ancora così. E loro, invece, a dieci, dodici anni, anche se sepolti dentro la società dei consumi, dei supermercati e dalla pubblicità, si sono posti domande più grandi di loro e a modo loro si sono dati risposte. Non sono più bambini e non chiedono più a mamma. Anzi la mamma, da oggetto di culto, diventa antipatica, causa delle loro angosce. Una volta, il politichese parlava dell’adolescenza, della morte dei padri, del ’68, dei movimenti studenteschi. Roba rara e mal digerita perché male interpretata. Oggi, a quattordici anni, odiano la madre, non perché l’ha detto Freud, ma perché la vita ha invaso non solo i supermercati ma la coscienza dei nostri ragazzi.
Parlo di coscienza e non di conoscenza. La società ipermercato non li ha fermati agli scaffali, ma con loro è entrata negli angoli, nei colori della pelle dei magazzinieri, nella fila dei clienti alle casse. I carrelli della spesa stracarichi non hanno dato risposte alla fragilità interiore di nostro figlio, e tanto meno al perché dentro i carrelli erano pieni, e fuori invece c’era la ragazzina con la manina aperta. Basta poco per uccidere i sogni, mentre non bastano tre anni di scuola media, per spiegare qualcosa sulla vita. Dobbiamo partire presto. Da zero a tre anni vanno già suggeriti i primi incroci da attraversare nella vita.
Oggi, davanti alla morte, un ragazzo di dieci anni si fa le stesse domande di un uomo di trenta e davanti alla violenza e alle ingiustizie ha già interpretazioni più profonde delle nostre. Dobbiamo provocare e lasciarci provocare dalla vita. Prima entriamo nelle storie, nelle situazioni, nelle disperazioni e nelle speranze, nei bisogni e nei problemi della gente e più viviamo e facciamo vivere. A sedici anni, dare la possibilità a nostro figlio di partecipare attivamente alla gestione e alle modalità dello stare insieme, significa offrire a lui stupende occasioni per maturare, crescere, gestire il suo quotidiano e condividerlo partecipando al quotidiano degli altri. Sono le relazioni che lo fanno maturare. È la convinzione che più si vive insieme in modo giusto, autentico, sofferto, condiviso e socializzante e più ne guadagnano anche individualmente. Sarà il «noi» la spina dorsale della sua e nostra esistenza. A sedici anni aprirsi in modo serio agli altri è strategia che previene i vuoti di senso e di «futuro» dentro ai quali sono precipitati molti dei nostri ragazzi.
L’opportunità Dare la possibilità ai nostri figli di partecipare alla gestione dello stare insieme, una stupenda occasione per maturare