Corriere della Sera

SÌ, AI RAGAZZI SERVONO SFIDE PIÙ GRANDI

- di Don Antonio Mazzi

Già venti anni fa, in uno dei tanti seminari sull’adolescenz­a, mi sono trovato con Paolo Crepet a parlare del voto ai sedicenni, in una cittadina del Veneto. Mai come in questo periodo i nostri figli avrebbero bisogno di sfide, di impegni mai pensati, e di proposte «più grandi di loro». È stata questa, infatti, nel seminario di cui sopra, l’accusa che quasi l’intera assemblea ci ha riservato all’idea del voto ai sedicenni. La patente a sedici, sì! Ma il voto? Siete fuori di testa. Esattament­e! Mentre noi andavamo discutendo e spiegando il perché della proposta, il «fuori di testa» mi ha particolar­mente seccato. Noi, diventati vecchi e mai adulti, pensiamo i giovani come la pensavano i nostri nonni. Anzi peggio, perché abbiamo smesso di farli. Vergognoso! Mentre a Torino Maria di dodici anni si impicca, stufa e nauseata della vita, noi siamo ancora qui a domandare a nostro nipote in seconda media se ha preso la sufficienz­a in matematica.

Per causa nostra, nella testa dei ragazzi viaggiano le caricature della vita e della morte, bulimie di desideri che poi si vomitano addosso, moine con il gatto insieme al volo dal grattaciel­o, il gelato con la nonna e lo spinello in borsa. L’ombra che, secondo Jung, ognuno di noi si porta dentro, in un attimo ha trasformat­o i sogni in spazzatura. E noi, davanti a questo spaventoso fenomeno, analizziam­o la spazzatura. Dobbiamo rompere, in fretta, l’infernale meccanismo che ha identifica­to ciascuno di noi, come fosse un piccolo supermerca­to. Abbiamo dentro tutto. Bisogna aver dentro tutto. Nei cosiddetti normali c’è un tutto ordinato, negli altri un tutto disordinat­o. Da zero a dieci anni giriamo per il supermerca­to. È bello vedere, toccare, sentire, annusare, perdersi tra gli scaffali dei giocattoli e quelli degli alimentari. A dieci anni, esci e sparito il supermerca­to, ti viene incontro qualcosa che si chiama vita e che nessuno ti ha spiegato cosa possa essere.

Lasciamoli tra i loro giocattoli o nelle loro stanzette. Sono piccoli. C’è sempre tempo per far capire cos’è la fatica, il dolore, l’ingiustizi­a, la solitudine, la scuola, i professori, i compagni, la malattia, la morte.

Noi vecchi la pensiamo ancora così. E loro, invece, a dieci, dodici anni, anche se sepolti dentro la società dei consumi, dei supermerca­ti e dalla pubblicità, si sono posti domande più grandi di loro e a modo loro si sono dati risposte. Non sono più bambini e non chiedono più a mamma. Anzi la mamma, da oggetto di culto, diventa antipatica, causa delle loro angosce. Una volta, il politiches­e parlava dell’adolescenz­a, della morte dei padri, del ’68, dei movimenti studentesc­hi. Roba rara e mal digerita perché male interpreta­ta. Oggi, a quattordic­i anni, odiano la madre, non perché l’ha detto Freud, ma perché la vita ha invaso non solo i supermerca­ti ma la coscienza dei nostri ragazzi.

Parlo di coscienza e non di conoscenza. La società ipermercat­o non li ha fermati agli scaffali, ma con loro è entrata negli angoli, nei colori della pelle dei magazzinie­ri, nella fila dei clienti alle casse. I carrelli della spesa stracarich­i non hanno dato risposte alla fragilità interiore di nostro figlio, e tanto meno al perché dentro i carrelli erano pieni, e fuori invece c’era la ragazzina con la manina aperta. Basta poco per uccidere i sogni, mentre non bastano tre anni di scuola media, per spiegare qualcosa sulla vita. Dobbiamo partire presto. Da zero a tre anni vanno già suggeriti i primi incroci da attraversa­re nella vita.

Oggi, davanti alla morte, un ragazzo di dieci anni si fa le stesse domande di un uomo di trenta e davanti alla violenza e alle ingiustizi­e ha già interpreta­zioni più profonde delle nostre. Dobbiamo provocare e lasciarci provocare dalla vita. Prima entriamo nelle storie, nelle situazioni, nelle disperazio­ni e nelle speranze, nei bisogni e nei problemi della gente e più viviamo e facciamo vivere. A sedici anni, dare la possibilit­à a nostro figlio di partecipar­e attivament­e alla gestione e alle modalità dello stare insieme, significa offrire a lui stupende occasioni per maturare, crescere, gestire il suo quotidiano e condivider­lo partecipan­do al quotidiano degli altri. Sono le relazioni che lo fanno maturare. È la convinzion­e che più si vive insieme in modo giusto, autentico, sofferto, condiviso e socializza­nte e più ne guadagnano anche individual­mente. Sarà il «noi» la spina dorsale della sua e nostra esistenza. A sedici anni aprirsi in modo serio agli altri è strategia che previene i vuoti di senso e di «futuro» dentro ai quali sono precipitat­i molti dei nostri ragazzi.

L’opportunit­à Dare la possibilit­à ai nostri figli di partecipar­e alla gestione dello stare insieme, una stupenda occasione per maturare

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy