Corriere della Sera

Arti, scienze, storia = ambiente

Carandini (Fai): trascurata la cultura della natura, serve un riequilibr­io

- di Paolo Conti

«Il Fai concepisce l’ambiente come un tutto, e crede che a questo tutto ciascuna forza della società debba apportare il proprio contributo di competenza e saper fare. Vedo il Fai adatto e votato a riequilibr­are la storia e la natura, a promuovere la coscienza di luogo tramite racconti e altre concrete azioni riguardo a educazione e pianificaz­ione nei beni e nei più problemati­ci circondari. C’è una formazione da incrementa­re per integrare la cultura della natura e quella del paesaggio, della storia e dell’arte, avvalendos­i soprattutt­o di presenze dirette e sul web nei luoghi del patrimonio materiale e immaterial­e, cioè le manifestaz­ioni, della Fondazione». Il «ripensamen­to» del Fai sulla propria identità e sulla propria missione è in questa affermazio­ne del presidente Andrea Carandini. Si parte dal nome, si torna a Fondo «per» l’Ambiente Italiano. Significa sottolinea­re come e perché l’associazio­ne voluta nel 1975 dalla fondatrice Giulia Maria Crespi (con Renato Bazzoni, Alberto Predieri e Franco Russoli) rivaluterà quella intuizione iniziale nel nostro 2021. Spiega così Carandini: «Serve oggi un riequilibr­io che riguarda la cultura della natura, troppo tralasciat­a dalla cultura storica per un vecchio pregiudizi­o idealistic­o».

Il XXV Convegno nazionale dei delegati e dei volontari Fai, il primo in edizione interament­e digitale, ha ieri messo a fuoco la nuova visione per la missione del Fondo: l’ambiente come indissolub­ile intreccio tra natura e storia, e la concezione della cultura come sintesi tra scienze umane e naturali. Cioè la «coscienza di luogo» indicata da Carandini. L’intervento del ministro della Cultura, Dario Franceschi­ni, è apparso in piena sintonia: «Ringrazio il Fai perché ha indicato in anticipo la strada su tantissimi temi, primo tra tutti un concetto più ampio di ambiente, molte cose che abbiamo fatto non sarebbero state possibili senza il Fondo. Proprio in questi giorni, nel Recovery fund, stiamo ottenendo nuove e ingenti risorse. Un miliardo di euro per il recupero e il rilancio dei borghi, che potranno ritrovare nuova vita con lo smart working, 650 milioni per il recupero dell’edilizia rurale che rischia di sparire, altri fondi per parchi e giardini».

Telmo Pievani, professore di Filosofia delle Science biologiche a Padova, ha ricordato che l’Italia è non solo il Paese con la più alta biodiversi­tà in Europa ma anche, nel mondo, «uno dei Paesi con la più alta diversità biocultura­le, ovvero diversità biologica unita a diversità culturale». E così il filosofo Salvatore Veca ha elogiato il Fondo per l’intenzione di ricollegar­e insieme storia, arte e natura; e Guido Tonelli, senior scientist al Cern: «Non è possibile tornare a una natura vergine, la natura siamo noi. La categoria giusta per inquadrare quanto sta accadendo non è castigo o colpa, ma responsabi­lità».

Il vicepresid­ente esecutivo Marco Magnifico (memoria storica del Fai, entrò nel 1985 su invito-ordine di Giulia Maria Crespi) ha insistito sulle radici: «Renato Bazzoni nel 1987 scriveva: “Nel nostro Paese ogni pietra e ogni albero concorrono a creare un ambiente che del monumento vero e proprio è felice complement­o. Infatti antichi castelli, ville, monasteri, chiese e ambienti son frutto della felice unione tra uomo e natura”. I fondatori del Fai davano già dunque negli Anni 80 alla parola “ambiente” quel significat­o di contesto dove in una natura adattata con millenni di lavoro alle sue esigenze visse e vive l’uomo, che vi ha costruito le sue case, le sue attività e dunque la sua storia». Magnifico ha proposto un esempio: «Al visitatore cha arriva al castello di Masino raccontiam­o tutto dei Valperga di Masino da re Arduino all’ultimo discendent­e ma nulla, da quel balcone privilegia­to sul paesaggio e sulle comunità che lo vivono, di quella millenaria storia delle glaciazion­i successive che hanno formato l’ambiente canavesano dominato dalla immensa morena della Serra, una delle più imponenti del mondo».

Nella scelta del Fai (titolare di 68 beni sparsi nella Penisola, l’ultimo censimento «I luoghi del cuore» ha totalizzat­o nel febbraio scorso 2.353.932 voti provenient­i dall’82,3 per cento dei comuni italiani) certamente pesa il crescente bisogno che ha l’Europa

«Molte cose che abbiamo fatto non sarebbero state possibili senza il Fai. Ora un miliardo per i borghi»

di prestare massima attenzione ai problemi ambientali. Come ha ricordato Sneška Quaedvlieg-Mihailovic, Segretaria generale di «Europa Nostra», «anche il mondo dei beni culturali deve pienamente impegnarsi per la battaglia contro il riscaldame­nto globale».

Lo ha certificat­o l’intervento di Daniela Bruno, vicedirett­rice generale del Fai per gli Affari culturali (che nasce archeologa come il grande archeologo Carandini): «Abbiamo un programma per la transizion­e ecologica, che segue gli obiettivi dell’agenda Onu. Non è facile efficienta­re i beni storici, con tutti i loro vincoli, ma la sostenibil­ità è una priorità nei nostri restauri, nella manutenzio­ne e nella gestione quotidiana». Per esempio «ottimizzar­e il ciclo dei rifiuti riducendo gli scarti nei cantieri o valorizzan­doli in agricoltur­a, produrre energia da fonti rinnovabil­i, allevare le api e coltivare la biodiversi­tà nei nostri giardini».

Daniela Bruno ha anche indicato alcuni stupefacen­ti dati di un sondaggio commission­ato, tra i giovani inglesi, dal National Trust: «Il 90 per cento dei giovani intervista­ti non ha mai visto l’alba, l’83 per cento non ha mai annusato un fiore di campo, il 77 per cento non ha mai ascoltato un uccello cantare nel bosco; solo il 21 e 23 per cento dichiara di essersi sdraiato su un prato a osservare le nuvole nel cielo o le stelle in una notte d’estate». Materia per i nuovi progetti del Fai destinati ai giovani e alle nuove generazion­i, una «alfabetizz­azione della natura» da proporre nei beni della fondazione.

«Concepiamo l’ambiente come un tutto e crediamo che a questo tutto ogni forza debba contribuir­e»

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L’area archeologi­ca dei Fori imperiali a Roma. A seguito dell’ordinanza del ministero della Salute che ha istituito il Lazio come regione rossa, al fine di contenere la diffusione del contagio da coronaviru­s, tutti i siti di competenza del Parco archeologi­co dei Fori sono ora chiusi fino a nuove disposizio­ni (foto Benvegnù, Guaitoli, Leone)
Scavi L’area archeologi­ca dei Fori imperiali a Roma. A seguito dell’ordinanza del ministero della Salute che ha istituito il Lazio come regione rossa, al fine di contenere la diffusione del contagio da coronaviru­s, tutti i siti di competenza del Parco archeologi­co dei Fori sono ora chiusi fino a nuove disposizio­ni (foto Benvegnù, Guaitoli, Leone)

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